Esattamente un anno fa le telecamere di Mi-Tomorrow davano vita ad un tour che avremmo preferito non raccontare. Era il 21 marzo 2020, ad un mese esatto dal primo contagio in Italia. Lo scenario davanti a noi era qualcosa di indescrivibile: il silenzio assordante di una metropoli che si spegneva. Qualcosa di immaginabile solo in una pellicola fantascientifica.
Il tour. Da via Paolo Sarpi – una Chinatown prima epicentro ripudiato e quindi epicentro di solidarietà in un’asse Cina-Italia – alla città nuova con corso Como e piazza Gae Aulenti in testa. Quindi il Duomo, dalla Galleria a corso Vittorio Emanuele, dove si concentravano misure da coprifuoco forti, impenetrabili. Infine la Darsena e il Naviglio Grande: una movida, quella di Milano, che non c’è più, le saracinesche abbassate, qualche artista rintanato a dipingere, una secca ancora più triste in tempi di quarantena.
Proprio qui al termine di quel tour una porticina gialla affacciata su una Darsena sgombra da aperitivi e Navigli ci dava un segnale di speranza. Era l’ingresso del laboratorio dell’artista Gregorio Mancino, sul quale aveva affisso una vera tromba accompagnata dalla frase “Carica Italia”.
A distanza di 365 giorni il coronavirus che forse all’epoca era ancora un semisconosciuto, lo abbiamo imparato a vivere. Abbiamo soprattutto imparato un nuovo lessico ed ad accettare (almeno in parte) una quotidianità fatta di distanziamento, serrande abbassate, divieti e soprattutto mascherine. Proprio quei dispositivi di protezione che all’epoca erano introvabili e venduti a peso d’oro.
A distanza di 365 giorni il coronavirus è ancora una triste realtà, ma abbiamo ancora un qualcosa per cui guardare al futuro con ottimismo: la speranza prende la forma di un vaccino. È questione di tempo ci dicono. E a noi non resta che sperare.