Milano, capitale indiscussa della moda, ci pone anche un grande interrogativo etico che nasce dal contrasto tra, da un lato, l’incanto delle passerelle e delle boutique del lusso, dall’altro, la lunga ombra della fast fashion, un’industria che sfrutta senza scrupoli le risorse del pianeta e la manodopera.
Una combinazione diabolica che spesso induce a uno shopping compulsivo i cui effetti drammatici ormai sono sotto gli occhi di tutti non solo rispetto la loro produzione (che richiede ingenti quantità di acqua, petrolio e cotone e l’utilizzo massiccio di energia da fonti fossili impattando inesorabilmente sul cambiamento climatico), ma anche il loro smaltimento. E non si può fingere di non sapere che dietro i prezzi stracciati dei capi fast fashion si nascondono spesso sfruttamento e lavoro minorile.
Moda e fast fashion, cosa accade nel mondo
In Paesi come il Bangladesh i lavoratori dell’industria tessile, spesso donne e bambini, sono sottoposti a condizioni lavorative inumane per salari bassissimi e in ambienti pericolosi. Ed ecco allora che sì ogni milanese può fare la differenza: come il battito d’ala di una farfalla può scatenare una tempesta, anche la nostra “piccola” scelta consapevole può innescare un cambiamento positivo.
La moda a Milano potrebbe davvero diventare un modello di sostenibilità, coniugando stile, etica e rispetto per l’ambiente così come ha sempre sostenuto Elio Fiorucci, il primo vero visionario sostenitore di una moda “gentile”: insieme possiamo costruire un futuro più verde e più giusto, a partire da ciò che scegliamo di indossare.