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Milano
24. 04. 2024 01:57

Parole e promesse: lunga storia di Milano e della sua musica

In attesa di tornare a vivere di live, senza più vincoli e schermi, proviamo a viaggiare fra le pieghe di un rapporto d’amore. Da sempre, per sempre

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Nel 2021, con le ombre dei lockdown e delle restrizioni, riuscite ancora a immaginare un barbapedana far breccia in un caffè-concerto all’angolo con la via Gluck dopo averle suonate ai pendolari della Stazione Centrale dall’alba al tramonto, incantandoli – o infastidendoli – con le corde e le litanie del dialetto milanese?

Ovviamente no, ma lo stesso esercizio liberty non sarebbe riuscito neppure 30 anni fa. Il mondo intorno tutto sommato era già questo, semplicemente lo si osservava e ascoltava di più. Oggi il mondo è dappertutto, come la musica. A noi il compito di selezionarla, renderla protagonista e non semplice sottofondo, darle un volto e una storia, infine – sforzandosi un attimo – darle anche un luogo.

SEMPRE MENO ETICHETTE

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Milano «con i suoi sarti e i suoi giornali, con i suoi terroni settentrionali e i suoi industriali», cantata qui dal romano De Gregori, fa capire perché proprio la Madonnina – dal 1990 a oggi – ha sempre meno etichette da appiccicarsi addosso.

Un fenomeno ben cavalcato dall’estensione musicale che non la regola più solamente a singole voci o a singoli cantastorie, pronte a far gara tra loro: Enzo Jannacci, Dario Fo, Giorgio Gaber, per citare i più noti, sono dribblati in direzione nazionalpopolare soltanto da successi per uomini e donne firmati da Adriano Celentano e Ornella Vanoni. O dagli exploit sulle due direttrici – sentimentale e intellettuale – traslate dalla moda del prog, che andava dai Dik Dik ai quasi metafisici Area.

ONNIPRESENTE

No: Milano è adesso, sempre, onnipresente. Generazioni vecchie e nuove attraversate da Roberto Vecchioni e dall’hip-hop degli albori della posse a nome Articolo 31 che ha gettato il ponte verso il fenomeno contemporaneo J-Ax.

Insomma, ci si può far largo anche nel marasma della metropoli, classico luogo dove pullulano più parole e promesse che opportunità. Ci si poteva far largo nella Milano da ballare a cavallo tra i due secoli, epicentro di una regione – e oltre – fra locali da concerto e quello stupendo record inversamente proporzionale tra fashion hub e relativi metri quadri a disposizione.

PERIFERIA

Perché Milano è selezione, a volte anche innaturale: vengono alla mente i percorsi da uomini duri e puri (e spesso simpatici, dote non proprio per tutti) di Elio e le Storie Tese, dei Vallanzaska, dei Punkreas. Fino al percorso, artisticamente rock, più chiacchierato tra “quelli che se ne intendono”. Impossibile non pensare agli Afterhours di Manuel Agnelli, che si fermeranno a qualche passo dalla consacrazione salvo poi lanciare il personaggio più carismatico.

manuel agnelli

È la tv, bellezza. Poi arriva la periferia, l’hinterland, perché ormai Milano è triplicata: Mondo Marcio e le rime baritonali e baciate, le basi americane con i dolori di migliaia di ragazzi che cercano una strada, mentre in strada si va sempre meno se non in determinati luoghi e con ragioni ben precise. Spuntano la Milano da bere dei bad boys raccontata dal Club Dogo o i garage borghesi a Milano Nord de Le Luci della Centrale Elettrica.

SUCCESSO DI CULTURE

Ma Milano, ricordiamolo, è anche e soprattutto successo. A volte impronosticato e impronosticabile, che la musica è forse l’ultima arte del possibile in quanto a opportunità di sfondare barriere e “sfondare”, in senso più commerciale. Non proprio l’America, ma quasi. Fedez – figura che ormai travalica il concetto di musicista – brucia i rappers in prima linea sul territorio (ma le battaglie di freestyle, i raduni, le gare di cattiveria e fantasia fanno ancora da humus), mentre Morgan brucia se stesso dopo aver bruciato l’alt-glam-rock dei Bluvertigo.

ghali milano dna

Arriviamo ai trappers dei giorni nostri, descrizione di una quotidianità nuova che le vecchie generazioni fanno resistenza a comprendere: la Cinisello Balsamo postindustriale e ingioiellata di Sferaebbasta, piuttosto che la strada tra Baggio e Buccinasco, mostra la contraddittoria integrazione multietnica delle periferie milanesi attraverso i ritmi interculturali e via via più “sempliciotti” dell’ormai acclamato Ghali.

E DOMANI?

E, in un domani prossimo, a chi toccherà? Si chiacchiera di Sylvia (originaria di Villanova d’Asti, ma milanese per adozione artistica cresciuta ascoltando Schubert Lucio Dalla e i newyorchesi Fugazi) e di Ernia (ormai al terzo album, ma che in ambito hip-hop viene segnalato come il possibile prossimo uomo di successo nel panorama radiofonico italiano).

Milano che si trova anche nei testi dei Baustelle come di Fabrizio Moro, punto di riferimento dell’Italia che va ai mille all’ora. Milano che si è presa la scena con la seguitissima Music Week prima della pandemia e che, proprio attraverso le iniziative culturali, vuole mantenersi giovane, digitale e pronta al grande ritorno del cosiddetto contatto fisico. Al naturale, in Duomo, mano nella mano. Oppure urlando, a migliaia, in mezzo a San Siro.

 

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