Petra Conti protagonista di Opera Festival 2019: «Abbiamo fatto rinascere la danza»

Petra Conti
Petra Conti

Dal 2014 è ambasciatrice della danza italiana nel mondo. Ha ballato in tutto il mondo, dagli Stati Uniti al Canada, dalla Russia all’Ucraina, perfino ai piedi del Burj Khalifa, a Dubai, con Roberto Bolle. Eppure Petra Conti, oggi Principal dancer del Los Angeles Ballet, deve tanto a Milano e alla Scala, dove debuttò nel 2009 per poi diventarne la Prima Ballerina due anni dopo.

Quest’estate, fino all’8 agosto, è protagonista nei due titoli verdiani di punta dell’Arena di Verona Opera Festival 2019: La Traviata e Aida. «Tornare in Italia in questa stagione è ormai quasi una consuetudine», racconta a Mi-Tomorrow.

Cosa significa ballare in casa?

«È un orgoglio girare il mondo, ma è sempre fantastico potersi esibire qui in Italia. Dopo tre anni consecutivi, mi auguro che queste parentesi estive all’Arena si confermino regolari».

Senti qualcosa di speciale?

«E’ un ritorno alle radici che ogni volta ti mette di fronte ad un apprezzamento sempre maggiore da parte del pubblico».

Oggi cosa manca alla danza italiana?

«La danza si è evoluta, i ballerini sono più tecnici di una volta. L’Italia crea danzatori spettacolari dal punto di vista estetico, ma manca un po’ di forza tecnica e virtuosismo».

Come si colma il gap?

«Credo che queste caratteristiche si possano raggiungere solo con esperienze all’estero o confrontandosi con ballerini stranieri».

Perché?

«All’estero la precisione di linea non è fondamentale quanto fare qualcosa di scioccante per il pubblico. Il mix delle due scuole, la nostra e quella diciamo “straniera”, rappresenta il top».

Ti senti influencer?

«Nel mio piccolo cerco di esserlo. Desidero farmi conoscere come ballerina, per raccontare una carriera di sacrifici e di successi, ma anche per divulgare la mia storia personale: ho avuto un cancro al rene, che mi ha cambiato tantissimo. Ecco, vorrei essere influencer su questi temi, perché possa essere fonte d’ispirazione verso la positività, spronare ad amarsi per come si è».

Condividi il tentativo di Bolle di rendere la danza più popolare?

«Credo che la danza sia nata per un’élite, ma viviamo oggi in un mondo in cui il grande pubblico dev’essere avvicinato a quest’arte. Tra Bolle, i film e i social, la danza sta conoscendo una rinascita. Anch’io nel mio piccolo provo ad attirare gente che magari fino a qualche tempo fa non aveva un’idea precisa di quest’arte. Grazie ai social siamo tutti più vicini ed è l’aspetto migliore: avvicinare il pubblico e sensibilizzarlo».

Qual è il ricordo che ti lega di più a Milano?

«La prima di Giselle alla Scala: arrivai come aggiunta al corpo di ballo e debuttai con Eris Nezha, che poi diventò mio marito. Fu un evento storico, da lì in poi iniziò la mia carriera alla Scala».

Credi che in Italia ci sia ancora troppa esterofilia?

«Sei anni e mezzo fa scelsi di andare all’estero, oggi da “mezza straniera” mi sento molto più apprezzata. Non posso negare di aver accresciuto valore proprio perché ho ballato in certe città fuori dall’Italia. Il nome che viene dall’estero fa già scena, ma sento di portare una storia particolare che ha creato scandalo e suscitato curiosità».

Rifaresti tutto?

«Per me è stato un bene andare via e tornare da star. Non avrei fatto questa carriera se fossi rimasta sempre a Milano».


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