San Tommaso soleva dire: «Se non vedo non credo». E così, dall’alto del suo insegnamento, ho voluto testare con mano il tanto atteso e chiacchierato Salone del Mobile, o per meglio dire SuperSalone.
Un Salone del Mobile che poco ricorda le edizioni passate
Dipinto – anche da noi – come il “Salone della ripartenza”, i padiglioni della Fiera di Rho si presentano come un surrogato della classica esposizione che eravamo abituati a vedere a Milano.
Il visitatore romano in fila a pochi passi da me, bloccato da 20 minuti nella coda per i biglietti, scuote la testa e con il suo inconfondibile accento mi dice: «Non è possibile questa organizzazione. Sto Salone lo si guarda in meno di tre ore e poi dei turisti manco l’ombra». Insomma, non una delle migliori premesse.
In effetti, una volta all’interno, il SuperSalone ha poco di “super”: i padiglioni sono solo quattro e tutto pare essere una versione in miniatura. Anche i corridoi tra gli espositori sono ridotti e spesso si è costretti a schivare i visitatori che si soffermano a fotografare. La mancanza più grande è certamente il pubblico delle grandi occasioni. Un dettaglio probabilmente già previsto, tanto che anche gli espositori si trovano spesso a “sonnecchiare” tra gli stand.
È, allora, tutto da buttare? Non proprio, anche se bisogna sforzarsi per guardare il bicchiere mezzo pieno. Insomma, la fiera è tornata a vivere in presenza e questo è già un evento dopo 18 mesi di pandemia e restrizioni. E in fondo, nonostante il pessimismo del visitatore della capitale, si sente un vociferare inglese, tedesco, spagnolo, asiatico.
Diciamo così: la normalità è in cima ad una scala ripidissima e con il SuperSalone possiamo affermare di aver salito i primi gradini. Con il FuoriSalone – ancora acceso per qualche giorno -, forse, già i successivi.