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25. 04. 2024 07:11

Niente cibo agli animali randagi: a Lecco l’ordinanza scatena le polemiche

Il sindaco ha annunciato nella sua newsletter la decisione di imporre il divieto di nutrire la fauna selvatica

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Niente cibo agli animali randagi come gatti, cani, piccioni, cigni e gabbiani: il Comune di Lecco ha emesso una ordinanza che ha fatto infuriare gli animalisti con Aidaa che ha presentato una querela e l’onorevole Maria Vittoria Brambilla, lecchese e presidente della Leidaa, che è pronta a rivolgersi al Tar se il sindaco Mauro Gattinoni non la ritirerà. Il sindaco ha annunciato nella sua newsletter la decisione di imporre il divieto di nutrire la fauna selvatica.

Animali randagi, l’ordinanza

«Vista la cospicua biodiversità che caratterizza il territorio lecchese, e data la presenza in molte zone del territorio comunale di Lecco di colonie delle più svariate specie animali, il Comune di Lecco – è la spiegazione – ha emesso un’ordinanza che vieta di somministrare qualunque tipo di alimento costituito da mangime, granaglie, scarti e avanzi alimentari di ogni tipo, a tutte le specie di animali randagi sull’intero territorio comunale di Lecco, fatte salve specifiche autorizzazioni con fini sanitari o scientifici».

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Il testo

Il testo del provvedimento è ancora più specifico: «L’alimentazione incontrollata degli animali randagi e selvatici aumenta e richiama un gran numero di roditori ed altri animali infestanti anche da zone limitrofe e la forte concentrazione di animali in determinate zone comporta una evidente compromissione del decoro urbano e delle condizioni igienico-sanitarie con conseguenti rischi per la salute pubblica».

L’attacco di Brambilla

È «una vergogna nazionale» secondo Brambilla che parla di ordinanza «affama randagi». «Eventuali problemi di igiene o di sicurezza – ha aggiunto – non si risolvono limitando la libertà dei cittadini o mettendo a rischio la sopravvivenza degli animali randagi – dice – e per questo il sindaco Gattinoni deve revocare subito quest’ ordinanza ‘affama-randagi’ o faremo ricorso al Tar».

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