Naga, una storia di assistenza: «Da trent’anni per loro. E voi»

Sabina Alasia, presidente del Naga, racconta la storia di un'associazione multiforme

Naga
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Il Naga nasce come associazione di volontariato nel 1987, a Milano, su idea del medico di base Italo Siena per aiutare i cittadini stranieri dal punto di vista sanitario.

A distanza di più di trent’anni, questa preziosa realtà ha allargato il proprio raggio di azione, garantendo un servizio continuativo e puntuale sul territorio milanese. Sabina Alasia, presidente del Naga, racconta la storia dell’associazione.

 

Naga, parla la presidente Sabina Alasia

Sabina Alasia
Sabina Alasia

Sabina, quali servizi sono attivi al momento?
«C’e l’ambulatorio, con una trentina di medici volontari. Poi abbiamo volontari che si occupano di accettazione e accoglienza offrendo un orientamento ai servizi nostri e della città, uno sportello legale per persone che hanno ricevuto decreti di espulsione o richiedenti asilo che hanno ricevuto diniego a domande di protezione internazionale, un altro sportello immigrazione per pratiche più burocratiche, un gruppo che entra nelle carceri, un gruppo di psicologi e un’unità di strada per la prevenzione sanitaria legata alla prostituzione».

Vi siete anche sdoppiati.
«Sì, con il centro Naga Har nato nel 2001 che dà supporto nella procedura di riconoscimento dello status di rifugiato e che si occupa delle vittime di torture e persecuzioni con attività formative e socializzanti in un centro diurno ospitato in una scuola in affitto dal Comune. Per esempio corsi di italiano, fissi, oltre ad attività che vanno e vengono come progetti sportivi, informatici e musicali. Adesso c’è un progetto di orto e di cucito».

Com’è strutturata l’associazione?
«Siamo 400 soci, quasi tutti volontari: abbiamo solo quattro dipendenti stipendiati con funzioni di coordinamento e amministrative. Per entrare al NAGA viene attivato due volte all’anno un corso di orientamento, poi ovviamente uno valuta anche in base alle proprie disponibilità. L’assemblea dei soci si ritrova periodicamente, mentre il consiglio direttivo si trova tutte le settimane».

Sembra quasi che arriviate a tutto.
«Non arriviamo a tutto. Non ancora almeno (sorride, ndr). Non prepariamo o distribuiamo pasti, non abbiamo vestiti, non offriamo lavoro…».

Come vi fate conoscere?
«Diciamo che spesso gli utenti arrivano qui con il passaparola, grazie a connazionali e rete di conoscenze. Non a caso, abbiamo notato che a periodi arrivano ondate di richieste più o meno simili da parte di persone di una stessa comunità. Ovviamente siamo anche in rete con altre associazioni, con cui facciamo attività complementari e scambio di buone pratiche. Quindi il nostro nome circola».

Alcune persone vengono prese letteralmente in carico?
«Certo, dipende dalla persona e dalla richiesta. A volte è sufficiente un solo incontro generico, altre richiedono un piano di lavoro più corposo e articolato. Anche solo dal punto di vista medico abbiamo pazienti cronici che seguiamo da tempo».

Che rapporto avete con il Comune?
«Siamo una realtà indipendente e apartitica, anche se ci piace definirci politici: la nostra attività ha rilevanza politica. Rifiutiamo finanziamenti pubblici e non partecipiamo a bandi lanciati dalle diverse istituzioni perché potrebbe limitare la nostra libertà di azione. Il Comune è un nostro interlocutore su un piano di basso livello (diffusione dei servizi, ndr) o di rivendicazione quando riteniamo che alcune prassi adottate siano un po’ lesive della dignità della persona».

Come state lavorando in questo periodo delicato?
«Abbiamo rivoluzionato il lavoro nel corso delle settimane, man mano che le restrizioni sono aumentate. Abbiamo invitato i dipendenti a lavorare da casa da subito, poi abbiamo chiuso il Naga Har. Resta aperto ancora oggi, anche se con un flusso sicuramente diminuito, il nostro ambulatorio medico con sistemi di protezione necessari a tutelare volontari e utenti».

Un’attività, oggi, forse ancora più utile.
«Certo, perché è gente in meno che si reca al pronto soccorso. Un cittadino straniero senza permesso di soggiorno ha diritto alle cure, in un Paese con la sanità pubblica come l’Italia, ma non ha diritto al medico di base. Viene dunque a mancare la medicina preventiva e di controllo. Ne approfittiamo anche per fare informazione corretta su quanto sta accadendo: abbiamo tradotto le norme igieniche diffuse dall’ISS inizialmente reperibili solo in lingua italiana e le disposizioni governative attualmente in vigore».

Naga, i numeri dell’associazione

10.000
visite mediche annue, con 4.000 pazienti seguiti

2880
consulenze tra sportello immigrazione e legale

2.000
persone accolte al Naga Har, per 14.000 accessi

1.400
detenuti seguiti in carcere

400
soci che compongono l’associazione

Fonte: Naga, 2016-2019

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