Città aperta, che non elimina la solitudine

città
città

Nel secolo breve, la città era per definizione il luogo dell’anonimato, dei quartieri dormitorio, della spersonalizzazione dell’individuo. Al contrario la provincia, i piccoli comuni, i paesini erano il simbolo del concetto stesso di comunità, di luoghi accoglienti, dove tutti si conoscono, si parlano, si aiutano.

 

Città, simbolo di comunità

La globalizzazione, il sopravvento di internet e la fine dell’età industriale hanno completamente ribaltato i paradigmi. L’iperconnessione ci ha messi di fronte alla nostra profonda solitudine, essendo venute meno tutte quelle forme di mediazione del passato che ci consentivano di sentirci parte di qualcosa di più grande: più siamo connessi con il mondo attraverso la rete, più ci sentiamo piccoli.

Nelle città, però, si è innescata un’inversione di tendenza che non possiamo non vedere anche a Milano. La città è diventata oggi simbolo di comunità: perché nei grandi centri urbani è più facile trovare interessi, microgruppi, microcomunità in cui sentirsi partecipi di qualcosa, dal volontariato ai più svariati interessi ludico culturali.

Città, luogo di accoglienza

E nonostante siano le realtà che accolgono più immigrati, sono le città a essere più aperte e meno impaurite. La città è diventata l’antidoto per eccellenza alla solitudine. Non per tutti, però. Perché anche nelle città c’è una differenza tra zone e persone. Per le più anziane, per esempio, sentirsi soli è un dato che crea paura, insicurezza, frustrazione.

Il fenomeno della solitudine dell’uomo contemporaneo andrebbe studiato e approfondito di più, nelle città, nelle periferie, nelle province. Studiarlo è il primo passo per cercare soluzioni, perché non ci sia una contrapposizione sorda tra chiusura e apertura, tra futuro e nostalgia.

città
città