Imbottiti d’arte, spopola il panino d’Accademia

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Forza, panino! Come gli Elii ripetevano, pur con altro significato, sul finale di quel capolavoro che è Tapparella. Sì, perché il panino, poche storie, è un simbolo del nostro Paese. Se alla parola panino, però, la vostra mente va a un pranzo frugale tra una riunione e l’altra o alla soluzione più veloce per riempire un po’ lo stomaco, siete sulla strada sbagliata: il panino, il vero panino, è arte, poesia. Da quest’assunto, un anno e mezzo fa, è partita a Milano l’avventura della fondazione Accademia del panino italiano.

L’IDEA – Un progetto integrato per definire l’identità, individuare i valori e promuovere l’unicità del panino Italiano, conferendogli non solo uno specifico significato gastronomico, ma anche dal punto di vista culturale e di prospettiva imprenditoriale. I numeri, d’altronde, parlano chiaro: 150 miliardi di prodotti consumati ogni anno nel mondo, con prospettive di crescita, stando a una ricerca di McKinsey, dell’81% entro il 2030, complici l’aumento della popolazione e il tasso di urbanizzazione. Insomma, il terreno è fertile, ma urgono dei distinguo, perché in quei 150 miliardi di prodotti ci sono, sì, panini, ma anche sandwich, hamburger e pure tanto malevolo italian sounding, che, secondo i dati di Assocamerabio, quest’anno ha raggiunto un giro d’affari di 90 miliardi di euro (+70% nell’ultimo decennio).

UNO PER TUTTI, TUTTI PER UNO –  Serve, dunque, lavorare a livello culturale, individuando le linee guida del vero panino, tutelandolo, promuovendolo e facendolo conoscere: da qui l’idea di un’Accademia del panino italiano, progetto indirizzato dal lavoro di un advisory board presieduto da Alberto Capatti, storico della cucina italiana, scrittore e già rettore dell’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo. L’intuizione è stata di Antonio Civita ed Elena Riva (i proprietari del brand Panino giusto, la cui sede è casa anche dell’Accademia), che hanno deciso di non tenere l’idea per sé ma di condividerla, riunendo allo stesso tavolo studiosi della materia, produttori, artigiani, cuochi e creativi del cibo.

«Un movimento inclusivo di tutte le realtà interessate a crescere – spiega Civita – a cominciare dai brand concorrenti, perché concorrere per me significa correre assieme, ovvero fare sistema per portare il prodotto gastronomico italiano di qualità nel mondo». La strada è lunga, ma il solco è già stato tracciato. Per info accademiapaninoitaliano.it.

«Maestria, creatività e territorio»
Barbara Rizzardini: «Formazione per professionisti e amatori»

«Negli anni ci siamo resi conto che il panino italiano, soprattutto all’estero, veniva e viene ancora oggi spesso identificato con il termine panini, quando di panino italiano non c’è nulla o quasi». Nasce da qui l’idea dell’Accademia del Panino Italiano, come spiega a Mi-Tomorrow la direttrice della Fondazione, Barbara Rizzardini.

Perché un’accademia?
«Vogliamo valorizzare e tutelare un’icona del nostro Paese, creando in primis un background culturale e di comunicazione e poi una certificazione ad hoc».

C’è stato, da questo punto di vista, un lavoro importante…
«Sì, siamo partiti dall’individuazione dei tre valori fondamentali del panino italiano (maestria, creatività, territorio): questo ci è servito per creare gli otto punti del Manifesto, sviluppati poi nel Disciplinare, che consente d’identificare in modo specifico che cosa sia il panino italiano e di conseguenza poterlo certificare come tale. È una certificazione che noi diamo su richiesta dell’esercente ed è riferita – è bene precisarlo – alla ricetta del panino, non al locale».

Nel frattempo è arrivata anche l’app Panino italiano: di che cosa si tratta?
«È uno strumento con cui raccontare il panino certificato attraverso i tre fattori valoriali. Usiamo, nel dettaglio, video e infografiche per creare uno storytelling dell’intera filiera del panino: dai singoli prodotti all’ideazione fino all’esecuzione. L’app vuole, poi, diventare (e in parte già lo è) una guida digitale di tutti i luoghi in cui trovare un panino espresso preparato al momento e con prodotti del territorio: stiamo ultimando il primo censimento europeo e l’anno prossimo ci allargheremo al resto del mondo. Al momento ci sono quasi 1.500 locali censiti, di cui una quarantina con panino certificato».

Tra le tante frecce al suo arco, l’Accademia ha anche una scuola dedicata al panino italiano: quali gli obiettivi?
«Il progetto formativo, che miscela teoria e pratica, ha due target di riferimento: uno professionale, l’altro amatoriale. Il primo prevede percorsi intensivi di circa un mese, un mese e mezzo (tre giorni alla settimana per otto ore al giorno) che vogliono formare tre distinte figure: il gastronomo del panino, il creativo del panino e il maestro del panino. Sempre più ci viene chiesta, tuttavia, una formazione completa, che unisca questi tre percorsi: una sorta di master del panino. Accanto a questo, ci sono, poi, i corsi amatoriali con moduli da tre ore».

Chi sono i vostri allievi?
«Abbiamo un target piuttosto variegato, dai 17 ai 60 anni, motivo per cui spesso optiamo per percorsi personalizzati: c’è il ragazzo che esce da un corso professionale, c’è chi ha già un’attività avviata e vuole implementare/migliorare il menù, c’è anche chi a quarant’anni decide di cambiare vita e aprire un locale».

 

Tre regole per un panino top

1) Pane monoporzione da 30 a 120 grammi con farina prevalentemente italiana

2) Ingredienti crudi o cucinati secondo ricette italiane. Surgelato? No il panino completo; sì, eventualmente, i singoli componenti (di origini e produzione italiane)

3) Il panino va realizzato al momento della richiesta e assemblato a mano. Il pane va scaldato a parte: non bisogna scaldare ingredienti crudi