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28. 03. 2024 15:45

In quarantena al Covid hotel: una giornata all’Adriano Community Center

All’interno dell’Adriano Community Center, mai inaugurata come RSA e riconvertita dopo aver aderito al bando ATS: come funziona una degenza non in ospedale

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Sono 70 camere e 17 mini appartamenti, 3 piani e oltre 8mila metri quadri all’interno del complesso. La RSA Adriano Community Center, nell’omonima zona milanese, ha aperto le porte per i pazienti affetti dal virus Covid-19 che non possono trascorrere la quarantena presso il proprio domicilio.

Pazienti perlopiù completamente asintomatici, che non presentano quindi particolari necessità o un trattamento sanitario specifico in ospedale. La Residenza Adriano è nata come strumento per la degenza degli anziani in difficoltà.

«Non abbiamo mai inaugurato questa struttura come RSA: l’emergenza sanitaria ci ha fatto cambiare i piani. Non abbiamo progetti per il futuro perché non sappiamo quando tutto questo finirà», racconta Andrea Casiraghi, coordinatore del progetto.

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Vista l’emergenza sanitaria in atto e i numerosi casi sempre in crescita dei pazienti positivi al Covid-19, tutto l’edificio sarà utilizzato temporaneamente per le quarantene. Dopo il caso del King Mokinba Hotel, restano dunque tre al momento le strutture milanesi adibite a questo prezioso servizio.

I gestori del King, infatti, hanno ricevuto lo sfratto da parte della società proprietaria dell’immobile: una scelta motivata dall’aver giudicato i pazienti positivi, che avrebbero occupato le stanze, «un rischio per il quartiere e le sue attività». Duro il commento dell’assessore Maran, che si è detto pronto a supportare il progetto in ogni sede: «Nessuna umanità da parte dei proprietari».

Organizzazione. Tornando agli ospiti dell’Adriano Center, nelle rispettive camere usufruiscono di numerosi confort: Wi-Fi e televisione, oltre ad un bagno personale per evitare contatti con gli altri “inquilini”.

La colazione viene servita direttamente dalle macchinette automatiche, presenti in ogni piano della struttura. Il pranzo e la cena arrivano, invece, da un fornitore esterno. I cibi vengono scaldati presso la cucina del centro e consegnati direttamente nelle camere.

«In accoglienza ci occupiamo del triage – sottolinea Jessica Costanza –: prendiamo i parametri vitali e poi assegniamo una stanza all’ospite. Abbiamo due percorsi: uno “pulito” e uno “sporco” che percorrono i pazienti e tutti gli operatori. Garantiamo assistenza tutti i giorni dalle 9.00 alle 18.00, facciamo il possibile per rendere piacevole la permanenza».

Sono numerosi gli operatori che lavorano presso la struttura, sempre pronti per garantire servizio muniti di dispositivi di protezione individuale. Certo, c’è un rischio di contagio molto elevato vista la positività al tampone anti Covid-19 di tutti i presenti: il personale, non a caso, ha in dotazione mascherina, camice, occhiali di protezione, visiera e guanti.

Andrea Casiraghi: «Cerchiamo di rendere la permanenza piacevole»

Una RSA mai inaugurata: come siete diventati un Covid hotel?

«Abbiamo aderito ad un bando di ATS per mettere a disposizione la struttura per le persone affette da Covid-19 che non possono fare la quarantena presso il proprio domicilio in sicurezza».

Come avvengono l’iter per la registrazione e l’accettazione?

«Si accede alla struttura su richiesta da parte del medico di base piuttosto che dell’ospedale che dimette l’ospite. Lo stesso viene inserito in una piattaforma gestita da una centrale. Una volta profilato e verificato che sia compatibile con la struttura, viene inviato presso il nostro centro».

Una giornata tipo dell’ospite?

«La giornata è scandita dai momenti dei pasti, gli ospiti devono rimanere sempre in camera così da evitare contatti. Vengono consegnati colazione, pranzo e cena alla porta da parte del personale. Vengono rilevati i parametri due volte al giorno, la mattina e al pomeriggio».

Ci sono stati casi di pazienti che hanno avuto bisogno di un ricovero in ospedale?
«Sì, è già successo due volte. L’ultima signora è andata in ospedale proprio ieri (domenica scorsa, ndr): solitamente avviene quando iniziano a desaturare. In questo caso non possiamo gestire i pazienti, che si recano in ospedale per iniziare una terapia con ossigeno».

Che numeri avete registrato, sin qui?

«Abbiamo circa 180 ospiti, sono più di 90 quelli che abbiamo già dimesso. Ospitiamo soprattutto uomini stranieri, l’età media complessiva è di 44 anni: i nostri pazienti vanno dal 1936 al 2018. La permanenza è gratuita per tutti».

Secondo quali parametri avviene la dimissione?

«Può verificarsi con un tampone negativo oppure dopo 21 giorni dalla comparsa del primo sintomo o del primo tampone positivo. Quindi la permanenza è abbastanza breve».

Data la situazione inedita e difficile da gestire, che feedback avete ricevuto?

«I nostri ospiti hanno una stanza singola, con televisore e un collegamento Wi-Fi. Cerchiamo di aiutarli e vogliamo che la permanenza, nel limite del possibile, sia piacevole».

Gli ospiti non hanno contatti con i loro parenti?

«No, nessuno può far loro visita. I parenti o gli amici possono solo portare oggetti o materiale di prima necessità, ma non ci sono contatti. Come novità abbiamo inserito la possibilità di fare delle pause. Quindi, per un quarto d’ora al mattino e un quarto d’ora al pomeriggio, gli ospiti hanno la possibilità di uscire in corridoio a prendere una boccata d’aria».

Chi assiste questi pazienti?

«All’interno della struttura lavorano operatori ASA che si occupano di tutta la parte logistica ed alberghiera e anche della rilevazione dei parametri: saturazione e temperatura».

Sono esposti al rischio come gli operatori sanitari…

«Sicuramente sì, sono sempre dotati di tutti i dispositivi di protezione: indossano tute, camici, guanti e visiere di protezione. Abbiamo stabilito una zona delimitata da linee rosse che è quella “sporca”, percorribile dagli operatori e dai pazienti. Quella verde, invece, è “pulita”: gli operatori possono entrare in quella zona solo dopo la sanificazione».

E i medici?

«Abbiamo anche del personale medico: si occupano dei tamponi. Nella nostra struttura lì facciamo ogni lunedì, mercoledì e venerdì».

L’accoglienza dei Covid Hotel in numeri

  • 70 stanze, 245 a Milano . Sono oltre 70 le stanze a disposizione all’Adriano Community Center di via Adriano 97, 245 solo a Milano. I pazienti che devono completare l’isolamento lo fanno in stanze singole, con un bagno interno e una televisione. La struttura possiede un Wi-Fi in ogni stanza per il collegamento telefonico. C’è anche un balcone per un momento all’aria aperta. Per tutti non è possibile, però, alcuna visita da parte di parenti o amici.
  • 180 ospiti, 90 dimessi. Sono i numeri delle prime due settimane di apertura dell’Adriano Center. Dopo 21 giorni dal primo sintomo o dal primo tampone positivo i pazienti sono giudicati “negativi”. Si sono quindi ridotte le tempistiche di permanenza nelle strutture come i nuovi Covid hotel. Gli ospiti possono, in alternativa, lasciare la struttura dopo un tampone risultato negativo.
  • Media di 44 anni, dal 1936 al 2018. La media dell’età degli ospiti presenti nel Covid hotel è di 44 anni. Si tratta soprattutto di uomini, perlopiù di origine straniera. Il paziente più giovane, accompagnato da un genitore, è nato nel 2018. Quello più anziano, invece, è del 1936. Solo due pazienti, dall’apertura, si sono trasferiti in ospedale per un peggioramento del quadro clinico.

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