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25. 04. 2024 23:02

L’Iran visto da Milano, la testimonianza: «Far cadere il regime: non ci sono alternative»

Vive a Milano e si guadagna da vivere pensando alla sua terra, l’Iran, preda di un abominio senza fine: «Abbattere il regime è la sola alternativa». La testimonianza

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C’è un filo rosso, rosso sangue, che unisce i giovani desaparecidos di Plaza de Mayo in Argentina e i giovani iraniani di oggi: la violenza di un regime autoritario pronto alle peggiori violenze sui propri figli pur di mantenere il potere. Una storia terribile, quella argentina, che si sta ripetendo oggi in Iran, e che giunge fino a Milano dove vive la ragazza che ha scelto di parlare con noi, in forma anonima.

La banalità del male in Iran oggi indossa i panni della Guida Suprema, l’ayatollah Khamenei, in carica dal 1989. Tra le sue prerogative vi è la nomina dei membri del Consiglio dei Guardiani, organo che tra i suoi compiti controlla l’aderenza all’Islam delle proposte di legge e i candidati alle elezioni.

Fatto confermato dalle parole della nostra fonte: «Il presidente Ebrahim Raisi è un fantoccio nelle mani di Khamenei, così come lo sono stati i precedenti. Ed ecco perché un altro presidente, quello degli Stati Uniti d’America, Joe Biden, ricevuta una delegazione di nostri connazionali, alla richiesta di aiuto ha risposto che fino a quando comanderanno gli ayatollah non può fare nulla».

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Iran, il coraggio dei giovani

E allora capiamo perché a Lione Mohammad Moradi, cittadino iraniano di 38 anni, padre di una bambina, ha scelto di suicidarsi gettandosi nel Rodano: per scuotere la comunità internazionale. La memoria torna al suicidio come forma di protesta di Jan Palach, studente ceco che nel 1969 si diede fuoco contro l’invasione sovietica.

Quel gesto, messo in musica dal gruppo italiano la Compagnia dell’Anello, infiammò la primavera di Praga. Insieme alla nostra fonte, che teme più per la sua famiglia che per se stessa, abbiamo raccolto più di due ore di dialogo in questa forma, perché noi giornalisti abbiamo il dovere di testimoniare – specie noi europei – dove la libertà di stampa esiste e va difesa, utilizzata per dare voce a chi non ce l’ha. E rischia la vita.

Iran, il codice della rivolta

Le sue parole travolgono come un fiume in piena: «Uccidono da almeno dieci anni. Questa volta però – e lo dice guardandomi dritto negli occhi – è diverso: non ci fermeremo. Ne va della nostra vita». Capisco che Mahsa e il suo velo sono il codice di una rivolta che in realtà è iniziata quattordici anni fa con l’uccisione di Neda Aghasoltan. Lo sanno i ragazzi, ma lo sanno anche i loro genitori disposti ad aiutarli ad andare via pur di non vederli prelati e uccisi perché vogliono vivere come tutti i loro coetanei nel resto del mondo. «All’occidentale».

Ecco il loro peccato. «Solo in Afghanistan è peggio. Lì sono arrivati a proibire alle donne di studiare. Noi possiamo studiare tutti, le donne guidano, ma è solo apparenza: nella realtà non puoi fare niente. E poi le sanzioni all’Iran hanno colpito solo la popolazione comune, causando una svalutazione che impedisce qualsiasi progetto lavorativo, di vita o sostentamento. Non sappiamo mai il valore di un oggetto, di una casa: può cambiare da un giorno all’altro. Abbattere il regime è la sola alternativa. Dobbiamo farlo anche per tutti coloro che sono morti».

Iran, la conta della repressione

Solo nei primi 100 giorni di protesta, secondo l’Ispi la repressione della teocrazia iraniana ha ucciso almeno 472 persone, tra cui 64 bambini e 34 donne. Secondo lei ora siamo a 600: «Hanno appena arrestato uno chef, Navab Ebrahimi, reo di aver cucinato un piatto non conforme ai canoni della polizia morale, ma non ci fermeremo. Ogni settimana protestiamo, qui a Milano così come in tutto il mondo: non c’è alternativa. In Iran la polizia morale arresta e reprime ogni giorno in nome di reati commessi contro l’Islam, non contro il Governo. Gli ospedali hanno l’ordine di non curare chi protesta».

Capirete ora perché non pubblichiamo la foto di chi, con la sua testimonianza, ci permette di conoscere direttamente quello che sta accadendo. Però possiamo mostrare il volto di Neda Aghasoltan – prima vittima uccisa 14 anni fa – e di Nika Shakaram, prelevata da casa in quanto ritenuta leader in una delle prime manifestazioni avvenute dopo l’uccisione di Mahsa. E, per questo, destinataria di un trattamento “speciale”: l’asportazione di alcuni organi per non lasciare traccia delle violenze subite. Se questo è un uomo.

Iran, un sostegno è possibile

Le domando cosa possiamo fare concretamente, subito. «A Milano potreste aiutarci con la burocrazia. Senza permesso di soggiorno, senza una carta di identità italiana non possiamo aprire un conto in banca e senza un iban non possiamo lavorare o affittare casa». Ci guardiamo e penso che dando eco alle loro proteste possiamo aiutarli grazie a Twitter, a Youtube, nonostante i paradossali divieti sull’uso di Instagram per poi aprire, nel caso di Raisi e di Khamenei, i loro profili.

Nel 1978 in Iran ci fu un’altra rivoluzione che portò al potere Khomeini dopo aver cacciato lo Scià tacciato di essere un despota colpevole di occidentalizzare il paese. L’inganno riuscì e nacque la Repubblica Islamica. I ragazzi di oggi lo sanno, così come i ragazzi di allora, oggi adulti disillusi: ecco perché molti guardano con speranza al principe in esilio, Reza Ciro Pahlavi.

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