Maria Rita Gismondo: «Picco dei contagi tra 2/3 settimane»

Maria Rita Gismondo (Sacco): «Ci aspettiamo questa previsione, ammesso che i conti siano giusti»

maria rita gismondo
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«Con la globalizzazione, che porta conoscenze, benessere e pure malattie, vivremo altre emergenze sanitarie». Maria Rita Gismondo, responsabile di Microbiologia Clinica, Virologia e Diagnostica Bioemergenze dell’Ospedale Sacco di Milano, è stata accusata nelle scorse settimane di aver “minimizzato” la gravità dell’emergenza coronavirus.

 

Maria Rita Gismondo, parla la virologa del Sacco

In realtà, parla con toni agguerriti quando entriamo nel campo della “comunicazione”: «Non avevo mai vissuto un caos del genere», racconta a Mi-Tomorrow.

Professoressa, partiamo dall’allarme della Regione: siamo al limite con le terapie intensive?
«Guardi, la situazione totale del territorio ce l’ha in mano la Regione Lombardia, ognuno vede il suo pezzettino e proviamo a fare miracoli ogni giorno. Di sicuro ritengo che l’assessore Gallera non lancerebbe allarmi senza averne evidenza».

Quando potrebbe arrivare il cosiddetto “picco”?
«Bisogna capirsi di quale picco parliamo perché dobbiamo prenderne in considerazione due: quello dei contagi o quello dei malati».

Spieghi la differenza…
«Se mi contagio oggi, ci metto 5/9 giorni per ammalarmi, ammesso che mi ammali davvero. Quindi ci vogliono almeno una decina di giorni per capire la proporzione».

Tradotto?
«La curva degli infettati potrebbe diminuire entro 2/3 settimane, quella dei malati dovremmo andare verso metà aprile. Ammesso che i conti siano giusti e tutto sia valutato in maniera corretta».

Si parla del Tocilizumab, il farmaco contro l’artrite che starebbe dando risultati incoraggianti: ne avete evidenza anche al Sacco?
«Siamo uno dei centri autorizzati a testare questo farmaco, ma non possiamo sbilanciarci circa la sua reale efficacia su uno o due casi. Occorre attendere una corretta sperimentazione per poi utilizzarlo».

Valutazioni rinviate?
«Le premesse scientifiche ci sono tutte. Da queste premesse vanno valutati i dati sui pazienti. E qui le variabili sono molteplici».

Aveva mai vissuto qualcosa del genere dal punto di vista professionale?
«No, perché non avevo mai vissuto nulla di così confuso. Sotto il profilo della comunicazione mi permetto di dire che c’è stato il caos tra numeri comunicati errati, morti che poi non sono morti, positivi che non sono malati, proiezioni».

Perché?
«Siamo stati molto influenzati dalla paura di ciò che era accaduto a Wuhan, dove, però, c’erano condizioni molto diverse. Questa sarà una lezione importante per il futuro perché di errori ne stiamo commettendo tutti. E tanti».

Maria Rita Gismondo: «Di coronavirus si ammalano anche i giovani»

A proposito di comunicazione: chi muore davvero di coronavirus?
«Bisogna essere chiari perché si dicono tante verità interpretate con nomi diversi. Una cosa è dire che chi non riesce a superare la malattia sono gli anziani con più patologie, un’altra cosa è dire che si ammalano solo gli anziani».

Qual è la sua verità?
«Si ammalano anche i giovani, in percentuale molto più bassa. E va detto pure che ci sono giovani con patologie gravi pregresse. Va altrettanto chiarito cha quasi tutti i giovani riescono ad uscire dallo stato di gravità e guariscono. Un esempio è Mattia, il paziente uno che da qualche giorno respira autonomamente».

Anche lei avrebbe sposato subito la linea “dura” dei divieti in stile Wuhan?
«Se parliamo dal punto di vista della diffusione del virus, ogni volta che appare un’epidemia nel mondo dovremmo chiudere la vita. Ciò non è possibile perché comporta disastri a livello economico e, di conseguenza, sulla salute perché se non ci sono soldi non si investe in ospedali, attrezzature, medici e ricerca».

Quindi condivide questo procedere per gradi?
«Le misure devono essere appropriate al momento che si vive. Quando il Governo ha dichiarato lo stato d’emergenza, in Italia avevamo solo la coppia di turisti cinesi ricoverati allo Spallanzani. Ammetto che ero stupita dell’intervento del Ministero della Salute perché in quel preciso momento mi sembrava una misura eccessiva. E’ necessario guardare non solo alla diffusione del virus, ma anche alla vita della gente».

Nel frattempo stiamo tutti a casa…
«Atteniamoci alle regole al meglio delle nostre possibilità. Alla fine, tireremo fuori i conti e vedremo in che cosa si è sbagliato per fare meglio la prossima volta».

La prossima volta?
«Certo, con la globalizzazione, che porta conoscenze, benessere e purtroppo malattie, vivremo altre emergenze sanitarie di questo tipo».

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