Marco Masini con Il Confronto: «Guardo solo la mia classifica»

Trent’anni di carriera festeggiati dove tutto è cominciato, con Disperato. Marco Masini riparte nel nome della “sua” musica: «Guardo solo la mia classifica»

«Tutti i Festival sono diversi. E ti ci rapporti ogni volta in base a come sei in quel momento, all’esperienza che hai maturato, alla consapevolezza che hai acquisito, con timore, forza, paura e coraggio».

 

Marco Masini è tornato all’Ariston nel trentennale dalla vittoria di Disperato. Lui, che nel 2004 replico tra i big con L’uomo volante. Il confronto, brano in gara quest’anno, si è svelato nelle prime battute della serata di ieri.

Il confronto è quello che manca nell’era dell’individualismo?
«Diciamo che spaventa il rapporto con noi stessi perché siamo gli unici nemici che abbiamo. Nei rapporti sociali puoi trovare un certo tipo di modalità per poter stare in pace, ma con noi stessi non siamo mai in pace. È la paura del confronto che ci condiziona. Si supera con i 40, 45 anni e cerchi serenità, pace: provi ad essere una persona sola. Quando scrivo, faccio in modo che quello che sto vivendo sia anche ciò che stanno vivendo gli altri attraverso i luoghi comuni che portano all’identificazione».

Cosa direbbe il Marco di Disperato al Marco di oggi?
«Il Marco del ‘90 è figlio del tempo, figlio di quegli anni, un momento molto difficile dal punto di vista generazionale. Molti mi ritengono un cantante generazionale perché erano anni complicati, quando iniziava un certo tipo di smarrimento a causa della perdita di riferimenti dal punto di vista politico, sociale e anche istituzionale. Parlavamo di uomini che lasciavano spazio al dubbio e alla credibilità perduta: quindi quegli anni avevano bisogno di qualcosa di forte per poter gridare vendetta. La mia voce è stata uno sfogo, ho scritto testi che sono serviti a tanti ragazzi per trovare conforto. Perché la musica porta conforto».

C’è stato un anno professionale in cui hai avvertito “il” cambiamento?
«Il 2004 mi ha visto per la prima volta raccontare un mio desiderio, che è quello di tanti uomini. A 40 anni ho avuto il desiderio della paternità, abbiamo bisogno tutti di sentirci grandi: la responsabilità di un figlio ti porta a questo obiettivo. Da lì la voglia di sostituire la rabbia con la serenità, un sorriso e un perdono. Credo che sia necessario anche adesso, oggi stiamo vivendo un momento in cui qualsiasi tipo di segnale potrebbe dare fuoco al momento che ci sta divorando».

Sanremo è un ambiente che ti porta spesso a scrivere canzoni di un certo peso. Un peso sopra la media di ciò che sentiamo oggi. Come la vivi?
«La vivo consapevole che sia cambiato il panorama della musica, mentre il mio istinto è rimasto lo stesso. Sono cambiati i parametri di scrittura e di pensiero, procedimenti che ti portano ad elaborare il tuo pensiero con sistemi diversi. Io guardo solo la mia classifica».

Ovvero?
«Faccio quello che sono e scrivo quello che sento, pur guardando con ammirazione gli altri. Perché tutti possono insegnare, ma la musica è e resta una. Ci sono due generi di canzoni: quelle belle e quelle brutte. A me piace ascoltare la musica e imparo da tutte le canzoni».

Sarai a Milano il 16 aprile e il 28 maggio agli Arcimboldi. C’è un posto in questa città che per te è casa?
«Milano mi ricorda la mia adolescenza musicale, è il luogo dove è nata la mia musica. Mi ha dato la vita e tutte le volte ritrovo tanti amici del passato che ancora oggi vedo volentieri. Per me casa è piazza Cinque Giornate: lì ci abitava Mario Ragni, con lui è iniziato tutto. Davvero tutto».

In gara con
Il confronto

Cover
Vacanze romane con Arisa

A Milano
il 16 aprile al Dal Verme
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