Clemente Russo: «Milano è storia, io cerco leggenda»

clemente russo
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Clemente Russo cerca un salto nella storia. Cinque Olimpiadi consecutive non le ha mai fatte nessuno. Ci prova il pugile campano, che tra un assalto e l’altro all’oro olimpico (due volte si è fermato all’argento) e due campionati del mondo è diventato anche un volto televisivo. Non senza polemiche («Al Grande Fratello, dopo la battuta del friariello detta a un altro concorrente, mi fecero nero», ricorda) e con la consapevolezza in sé di essere comunque un atleta, in prima battuta.

«Vorrei entrare nella storia – dice Russo -. Nessun pugile ha fatto cinque Olimpiadi. Dopo gli ultimi Giochi, come sempre faccio, sono stato fermo per quattro mesi solo per riflettere sulla situazione.  Poco tempo dopo qualcuno mi ha messo la pulce nell’orecchio di questo primato delle cinque Olimpiadi. A settembre ho i Mondiali che faranno da tappa di qualificazione. Mi sto preparando».

A Milano si parla di Giochi, ma di quelli invernali del 2026. Sarebbe contento di vederli in Italia, pur non potendoli disputare?
«Stiamo comunque parlando dei Giochi. Purtroppo il Comitato per Roma 2024 non si è chiuso bene, ma sarei assolutamente felicissimo di avere la rassegna qui. Credo avremo altre occasioni, intanto speriamo in questa. Poi vedremo per quelle estive».

Cosa ha significato Milano per il pugilato?
«È sempre stata una terra fertile per la boxe. Ricordo il maestro Danzi, abbiamo Giacobbe Fragomeni. Negli anni ’60 c’è stato Loi a San Siro. A me la città piace: ci ho lavorato per sei anni con Dolce & Gabbana. È un epicentro europeo. Quando ci vivevo mi allenavo in via Mestre, torno ogni tanto e mi ci trovo sempre bene. È una città in cui ogni giorno hai tantissime opportunità, anche per me che resto legato e vivo al Sud».

Fa effetto pensare a una Milano senza più San Siro, qualora così dovesse essere?
«Noi della nostra generazione siamo un po’ rimasti a metà tra il vecchio e il nuovo. Lo stesso San Paolo di Napoli andrebbe rifatto. Noi dobbiamo rimanere legati ai vecchi valori, ma innovando. Io immaginerei un Meazza rinnovato, sempre con lo stesso nome ma adeguato all’oggi».

C’è speranza di riportare il pugilato davanti al grande pubblico?
«Penso di sì. Stavamo lavorando molto bene con Dolce & Gabbana fino a qualche anno fa, facevamo 3-4.000 persone al Forum. Alcune vicissitudini ci hanno bloccato. Per fare un evento grosso servono tante cose. La prima è il personaggio. Puoi essere fortissimo, ma devi essere personaggio. Serve comunicazione, organizzazione. In Italia ne abbiamo, mancano un po’ di fondi».

Gente come lei o Cammarelle avrebbe potuto, da professionista, contribuire a determinati successi?
«Roberto ha dichiarato sempre che a lui il professionismo non piaceva. Io sono stato da Don King nel 2009. Non mi è stato dato quel che cercavo. Avrei perso molto diventando professionista. Dipende sempre da quello che ti offrono».


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