Giuliana Cella, regina dell’etno-chic, dalla Scala alla Casa Bianca

Giuliana Cella
Giuliana Cella

«Ho sempre fatto la moda per me stessa, vestivo un po’ particolare, poi le amiche hanno iniziato a chiedere i miei capi». Per la milanese Giuliana Cella, stilista, collezionista, esperta di gioielli e tessuti etnici di tutto il mondo, debuttare nella moda è stato un passo breve: «Arrivarono anche gli americani perché la ex moglie di Michael Douglas, Diandra Luker, andava ai ricevimenti alla Casa Bianca con i miei vestiti e da lì ho iniziato ad essere conosciuta. Ho ideato, senza volere, un prodotto che riconoscono tutti e ho creato, più che una moda, uno stile riconoscibile: se indossi un mio capo dopo vent’anni, è sempre attuale».

I giornali più importanti del mondo si sono occupati di lei.
«Sono stata definita dal Financial Times la “regina dell’etno-chic”. La mia non è moda etnica ma coglie atmosfere da tanti luoghi. Senza dubbio è chic ed ogni creazione è un pezzo unico perché non ne troverai mai uno identico. Alla base c’è la ricerca di tessuti preziosi e rari trovati in tutto il mondo, che vengono esaltati dalla tradizionale sartorialità italiana».

Da dove trae ispirazione per le sue collezioni?
«Principalmente dall’arte e dalla musica. Non ho mai pensato di fare un prodotto commerciale ma di coniugare la cultura alla moda. Nella vita precedente avevo collezionato tessuti e ornamenti da tutti i paesi dove avevo vissuto e attraversato per lavoro. Usavo e uso tessuti che nessuno ha, soprattutto per i capispalla. Il mio discorso è andato oltre all’alta moda».

Per lei anche Milano è stata fonte di idee?
«Senza dubbio. Perché ho sempre cercato luoghi e ambientazioni che tenessero conto della filosofia della mia moda, senza mai dimenticare l’importanza della cultura e della comunicazione. È per questo che, per prima, ho portato il mondo della moda alla Sala Verdi e alla Casa della Cultura, uno dei luoghi storici italiani che ha ospitato Brecht, Pasolini, Sartre e Moravia. L’anno successivo è stata la volta della Camera del Lavoro di Milano, nello storico Salone Di Vittorio».

E poi?
«Al Museo Bagatti Valsecchi ho portato una collezione ispirata al laboratorio del Bauhaus, corrente architettonica tedesca grazie alla quale il tessuto, negli anni Venti, iniziò a ricoprire un ruolo importante nella visione globale del design e dello stile di vita. Altro scenario ideale è stato la splendida cornice del settecentesco Palazzo Bocconi, specchio di alcuni valori della borghesia imprenditoriale che ha dato impulso creativo a Milano e che oggi si ritrova nella mia daily couture. Ho presentato perfino allo storico Bar Jamaica, punto di riferimento per l’arte e la cultura nel cuore di Brera con la partecipazione di Alicia McKenzie, scrittrice giamaicana vincitrice del premio Commonwealth».

Tra gli ultimi appuntamenti milanesi, quello all’Hotel Baglioni.
«Ho presentato l’ultima collezione dedicata a Fortuny. Velluti fiammati per cardigan, cappe e blouses di chiffon devoré, arricchite da ricami di fiori che sembrano veri, le viole, i fili d’erba verde su giacche, cappe double, tuniche e caftani di sapore orientale, grandi colli sciallati per giacche di damasco, completi in crepe a effetto plissé».

I viaggi, le frequentazioni hanno influenzato il suo concetto di moda?
«Certamente. Mi sono ispirata alla Russia dei primi ottocento, ad oggetti della casa d’aste Sotheby’s tra eccezionali testimonianze storiche quali una voliera del regista Franco Zeffirelli creata dal maestro per la Traviata e i quadri appartenuti a Caterina di Russia. Le grandi amiche come Ornella Vanoni, Marta Marzotto e tante altre mi hanno sempre dato la spinta per continuare. Ho vestito la moglie di Sean Connery. Lui mi disse: “Non ho mai visto mia moglie così bella”».

Giuliana Cella è stata l’unica griffe italiana ad essere invitata a sfilare, insieme a Dior, nel prestigioso Nevsky Palace di San Pietroburgo.
«Un’esperienza straordinaria come la presentazione più significativa che mi ha portata alla ribalta della high society europea all’interno dell’Europarlamento a Bruxelles, che per la prima volta ha aperto le sue porte alla moda ospitando una mostra retrospettiva sulla mia carriera».

Tra poco ci sarà la prima alla Scala, la serata meneghina per eccellenza, soprattutto per gli abiti della signore. Lei chi vestirà?
«Tante e nessuna. Nel senso che negli anni passati tutte le mie clienti vestivano con i miei capi. Era un lavoro proibitivo perché si dovevano preparare molti abiti, tutti da gran sera, tenendo conto dell’artigianalità di ognuno. Ma ora anche la prima è cambiata. E chi ha i miei abiti nell’armadio, tira fuori quelli. Meglio il vintage per una serata, che pur importante, non è più quella».