Leddi, padre di Perimetro: «Milano è un racconto visivo»

Perimetro
Perimetro

Perimetro è un disegno immaginario. Uno spazio che racchiude interessi, persone che li alimentano, episodi e novità. Un progetto pieno storie raccontate attraverso le immagini. Una community multicanale che si sviluppa attraverso: un sito (perimetro.it), una pagina Instagram e Tasca, un estratto cartaceo mensile con dodici numeri in edizione limitata da duecento copie, distribuito in vari concept store in città e che unite andranno a comporre un unico libro. In più, incontri periodici con i protagonisti. Un puzzle di volte e vite che si dipanano fra via Padova, il quartiere Adriano, Quarto Oggiaro e un’infinità di angoli cittadini.

Ideatore, fondatore e coordinatore del progetto Perimetro, insieme al “copilota” Alioscia Bisceglia (fondatore insieme a Giuliano Palma dei Casino Royale), Sebastiano Leddi che lavora da sempre nella comunicazione visiva ed è molto legato a Milano: «Ho realizzato questo strumento per sviluppare un racconto sulla mia città», racconta a Mi-Tomorrow.

Sebastiano, cosa vi ha spinto a creare Perimetro?

«Da una parte, il desiderio di riconnettersi con la città: in un’epoca in cui siamo tutti connessi sui social, perdiamo di vista i collegamenti nella vita reale. Perimetro è un progetto che vive online, in formato cartaceo e, soprattutto, nella vita reale».

Cioè?

«Organizziamo molti incontri, dove portiamo alla luce tante storie raccontate dalla voce dei protagonisti. Milano è una città che spesso racconta ciò che succede solo per finalità commerciali, per spingere all’acquisto. Siamo convinti che c’è bisogno di umanità e che chi ha tanto da dire ha bisogno della presenza di media come il nostro».

Perimetro è anche una pubblicazione: cosa rispondete a chi dice che il cartaceo è anacronistico?

«La nostra pubblicazione è molto particolare: ha un’ottima qualità cartacea che cambia ogni mese ed è confezionata in un packaging di cartone. I dodici volumi di quest’anno verranno racchiusi in un raccoglitore, in modo da creare una specie di libro. Può essere anacronistico ma, alla fine, è un oggetto che rimane».

Una documentazione per il futuro?

«Certo, una sorta di archivio storico visivo che rimarrà nel tempo».

Come scovate i fotografi che collaborano con Perimetro?

«Essendo un agente di fotografi, molti erano già nel mio circuito. Poi l’anno scorso ho tracciato una mappa di circa cinquecento fotografi in città: un buon gruppo di ragazzi con un’estetica contemporanea e fuori dai circuiti commerciali. Ho raccolto scatti di generi e stili molto differenti: dall’architettura, al fotogiornalismo, passando dal fotodocumentario. Ora arrivano in redazione molte autocandidature».

Come orientate le vostre scelte?

«Non scegliamo il fotografo ma la storia che intende raccontare: non ci interessa la foto bella scattata da nomi altisonanti. E nemmeno su quanti follower ha su Instagram. Ci focalizziamo su ciò che vuole comunicare e condividere».

Le periferie sembrano essere i soggetti preferiti delle vostre foto. Sono più interessanti delle zone centrali?

«Non penso: stiamo cercando di mettere Milano sullo stesso livello di umanità. Raccontiamo la storia della persona comune come quella del personaggio più noto: è importante la trama e non il luogo dove si sviluppa».

Come vedi i milanesi della fascia dai 20 ai 40, vostro target di riferimento di utenti e dei vostri fotografi contributors?

«Più che all’età, il nostro target è legato da un’attitudine comune che punta su curiosità ed interazione. Anche se l’età è più o meno quella. Sicuramente sono molto più vicini, per interessi e stili di vita alle città del resto d’Europa, piuttosto che quelle italiane».

Se potessi fotografare un solo luogo di Milano: quale sceglieresti?

«Non c’è un luogo identificativo. Milano è molto sfaccettata. Proprio per questa ragione, nel nostro progetto non cerchiamo mai di “sintetizzare” la città ma di raccontarla in modo esteso e diversificato».

Qual è l’ambizione più grande?

«Che il seguito sia sempre più numeroso e che resista il più possibile».

E i prossimi obiettivi?

«Stiamo organizzando una mostra che raccolga tutto il lavoro dei nostri fotografi: una sorta di collettiva che faccia il punto su più di cento storie raccolte in città. Magari per celebrare il nostro».

Immagine: Alessandro Mitola