Medici Volontari Italiani: «Noi, dentro il Michelangelo»

Nel passato sono stati chiamati “le sentinelle di Milano” perché sono abituati a dare assistenza sulla strada, nelle periferie, ovunque ce ne sia bisogno. E non a caso hanno scelto una via di frontiera per la loro sede, via Padova, in linea con la loro filosofia di assistenza ben sintetizzata nel motto “I diritti dei deboli sono diritti forti”.

 

Medici Volontari Italiani, il lavoro dei dottori in pensione

faustino boioli
Faustino Boioli

Sono i Medici Volontari Italiani Onlus (medicivolontaritaliani.org), tutti medici in pensione. Nati nel 1999 oggi sono una efficiente organizzazione, nota e apprezzata nel mondo milanese del terzo settore. Ed è a loro che prima di Pasqua le istituzioni si sono rivolte per aiutare nella cura di quanti oggi, un centinaio circa, superata la fase acuta del COVID-19 sono “alloggiati” all’hotel Michelangelo, in attesa di poter finalmente tornare a casa superato l’ultimo periodo di quarantena.

Medici Volontari Italiani, parla Faustino Boioli

«Siamo stati presi un po’ in contropiede – spiega a Mi-Tomorrow il loro presidente, il dott. Faustino Boioli – perché molti dei nostri avevano già risposto al richiamo di tornare in corsia. Però siamo riusciti ad avere un numero congruo di volontari che ci permettono di coprire tutta la routine quotidiana e ora posso dire che siamo abbastanza tranquilli».

Qual è la vostra attività all’Hotel Michelangelo?
«Prevalentemente di sorveglianza sanitaria. Chi arriva ha chiuso l’iter clinico, ma c’è chi è ancora positivo, e comunque sono tutti “defedati”, ossia con le difese abbassate e quindi vanno assistiti. Hanno bisogno di una sorveglianza medica e noi la garantiamo».

Come?
«L’albergo non ha un armadio farmaceutico, così abbiamo piazzato la nostra unità mobile che a bordo ha una farmacia per le urgenze e altri farmaci “spartani” che poi noi usiamo in accordo con ATS e tutti i soggetti coinvolti nel progetto».

Lei ha visto il virus, i suoi effetti: cosa ci può dire?
«Come tutte queste malattie virali, è molto insidioso, perché sfuggono ad ogni logica terapeutica. Ed è il motivo per cui abbiamo assistito a veder fiorire più proposte di terapie fatte sul campo che però non sono applicabili perché ogni intervento deve sempre essere validato dal punto di vista scientifico».

Ci parla dei vostri pazienti?
«Coloro che escono dall’ospedale e arrivano al Michelangelo sanno che la brutta avventura è terminata, ma devono comunque rimanere controllati e ancora in isolamento, certo in una stanza a “quattro stelle”, ma dalla quale non possono uscire. Questo un po’ li deprime e li porta a ripensare al loro percorso. Noi li assistiamo, il vitto viene lasciato in camera e poi loro devono riporre il vassoio nel corridoio. Dopo un po’ di tempo alcuni cominciano a lamentare sofferenza per la “reclusione”, ma prevale comunque la consapevolezza di essere usciti da una vicenda molto complessa».

Se la sente di dare dei consigli?
«Tanta pazienza è la prima regola, nel senso che c’è un fervore di ricerca in tutto il mondo e speriamo che si trovi una cura. Poi c’è la vicenda del vaccino, ma ci vuole un anno almeno, dieci mesi nel migliore dei casi. Secondo, bisogna tornare al Medioevo quando l’unica cura era l’isolamento».

Tanta tenacia e pazienza…
«Sì, è necessario avere la pazienza e la tenacia di vivere in questo modo un po’ surreale di isolamento che tutti stiamo vivendo, con la rottura che comporta di tutti i rapporti sociali, mangiare insieme, bersi un aperitivo con gli amici. La tecnologia ci viene un po’ incontro, ma questo bisogna “subirlo”. Non solo…».

In che senso?
«Credo non si debba correre dietro a chi banalizza e dice che il peggio è passato e quindi cominciare ad aprire qui, là. L’unica cura possibile è la prevenzione e rispettare queste regole che certo creano problemi anche psicologici. I nostri assistiti, che stanno rispettando la quarantena, una volta dimessi dovranno comunque continuare ad osservare le regole di isolamento a cui siamo tutti sottoposti».

È dura…
«Noi siamo in una fase in cui dobbiamo autocontrollarci e questa è la sola risposta sicura oggi in attesa che ne arrivino altre altrettanto sicure per superare questa fase drammatica che cambia il nostro modo di vivere. Sì, lo cambia. E allora? Si cambia. È già successo nel passato. L’arma ora per battere il virus è la separazione fisica tra individui. E questo per me chiude il discorso».

hotel michelangelo
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