Più ci si allontana dal centro verso la provincia e la periferia a Milano, maggiormente cambiano sentimenti e percezioni. Spesso facciamo risalire questi spostamenti a diverse situazioni economico-sociali e al degrado crescente. Ma c’è un’altra lettura possibile.
A Milano non ci sono banlieue come quelle di Parigi (e chi lo afferma non è mai stato nella capitale francese, evidentemente) e nella provincia la situazione economica è molto varia, con picchi di ricchezza e una resistente classe media, con comuni e città amministrate bene e con tanti servizi, parchi e una situazione di sostanziale ordine generale.
Provando a cercare nuove visioni, si può ipotizzare una linea di tendenza legata alla solitudine. Più ci si allontana dalla città, più essa aumenta: la sensazione di sentirsi soli, di non avere più dei punti di riferimento. In passato, i piccoli paesi e i comuni erano considerati la culla della comunità, mentre la città era vista come il concentrato dell’anonimato.
Con la fine del ‘900, la crisi sempre più progressiva di quelli che vengono definiti “corpi intermedi” (partiti, sindacati, la chiesa, gli oratori) ha portato una disgregazione della comunità maggiore nei piccoli centri che negli agglomerati urbani. In città, Milano è un esempio in questo senso, sono nate invece negli ultimi 20 anni tante forme di comunità, legate ai quartieri o a singoli interessi di azione.
E anche nelle periferie la situazione è molto varia: là dove la vita sociale, con associazioni, eventi, servizi, è rifiorita, la percezione di insicurezza diminuisce. Dove le persone tornano a riunirsi, a fare progetti, a condividere momenti di vita, migliora la qualità della vita. Nei luoghi dove ciò non avviene, aumentano insicurezza e disagio. Capitolo a parte meriterebbe anche un’altra analisi: quella legata alle persone anziane. In questo caso la solitudine troppo spesso la fa da padrona.
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