Taha Al-Jalal: «Dallo Yemen per amore»

Taha Al-Jalal
Taha Al-Jalal

Galeotti sono stati il kebab e la pizza di cui Taha Al-Jalal si è nutrito al suo arrivo a Milano, città che ha incrociato quattro anni fa per seguire la donna italiana di cui si era innamorato nello Yemen. «Dopo sei mesi ero stanco di mangiare sempre la stessa cosa, così mi sono messo ai fornelli per la prima volta nella mia vita», racconta Taha che ora è un cuoco di cucina yemenita con un suo progetto personale battezzato La cucina di Taha. Trentun’anni, una laurea in traduzione e interpretariato arabo-inglese e un master in Relazioni internazionali, professore di inglese nel suo Paese, Taha continua privatamente a insegnare anche in Italia. «Adesso faccio mangiare cervelli e stomaci – racconta senza ombra di sarcasmo –. Ed è una cosa che mi piace».

Qual è la prima cosa che hai cucinato?
«La kabsa yemenita con il pollo. È un piatto unico con riso basmati, pollo halal, lime e un mix di spezie tra cui chiodi di garofano, cardamomo e pepe nero che ho preparato seguendo le ricette di mamma Aisha».

E poi cos’è successo?
«La cucina ha cominciato ad interessarmi davvero, la considero un’arte. Fare un piatto, per me, è come comporre un quadro».

Quanti quadri-ricette hai dipinto finora?
«Una trentina tra antipasti, piatti di carne e pesce e dolci. I miei preferiti sono la fahsa, una carne di manzo in umido con fieno greco, menta o pepe verde o prezzemolo, e il basboosa, una specie di tiramisù fatto con semolino, burro, cocco, vaniglia e mandorle».

Dalla cucina casalinga alla professionale è un bel salto. Come hai fatto?
«È capitato tutto per caso. La mia prima volta è stata una cena organizzata in un ristorante greco nell’ambito del progetto “Food and colors” cui sono stato invitato per preparare i miei piatti. Ho detto sì e ho cucinato per 80 persone. Poi ho partecipato a una selezione di Masterchef come chef migrante, sono stato scelto e, inaspettatamente, ho anche vinto. A quel punto ero già innamorato della cucina e ho deciso di continuare».

Con l’appoggio di quella che oggi è tua moglie, Laura Silvia Battaglia, giornalista e autrice con Paola Cannatella del libro a fumetti La sposa yemenita.
«Esatto. Sono arrivato in Italia, a Milano, con lei. Prima di conoscerla io sognavo gli Stati Uniti, era lì che volevo trasferirmi. Invece il destino ha deciso in un altro modo. Ho lasciato lo Yemen poco prima che scoppiasse la guerra con i sauditi e, purtroppo, ogni volta che ci vado (Taha è rientrato domenica 4 novembre, ndr) è sempre peggio».

Qual è stato il tuo impatto con l’Italia e in particolare con Milano?
«All’inizio è stato molto complicato. Nel mio Paese ero abituato a dare il buongiorno a tutti, qui quasi non ci si saluta nemmeno se ci si incontra sul pianerottolo. Poi la gentilezza dei medici che mi hanno curato quando sono stato male mi ha fatto cambiare idea».

Hai mai provato a cucinare piatti italiani?
«Prima voglio continuare a perfezionare la cucina dei piatti yemeniti de La cucina di Taha, poi comincerò a provare a fare qualcosa di italiano. Amo tantissimo la lasagna, la pizza e i dolci. Ma devo stare molto attento perché in Italia il cibo è importante perché è uno dei più importanti mezzi di socializzazione, un po’ come masticare qat (un’erba le cui foglie contengono una sostanza alcaloide, ndr) nello Yemen».

Come si può provare La cucina di Taha?
«Cucino per eventi e anche per pranzi a casa, i miei menù costano dai 35 ai 50 euro».

Non ti piacerebbe aprire un tuo ristorante?
«Sì e ci sto pensando. Non è così semplice, ci sono tanti adempimenti e l’investimento è notevole. Poi mi piace fare l’insegnante così come fare il cuoco ed è bello poter continuare entrambe le cose. In fin dei conti basta un’unica partita Iva».

Info: 342.92.10.889