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20. 05. 2024 23:15

Gaza, atenei milanesi in agitazione. Zecchi: «Linea dura contro i violenti e gli antisemiti»

Come il conflitto israelo-palestinese sta accendendo le proteste degli studenti di Milano. Nuove occupazioni in vista

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Come sta accadendo in quasi tutti i Paesi occidentali, anche a Milano gli atenei sono in stato di agitazione dallo scorso ottobre, da quando si è riacceso il conflitto arabo-israeliano. Anche qui si sono vissuti momenti di tensione tra i sostenitori della due parti ed è emerso un massiccio attivismo a favore della causa palestinese. Il banco di prova più imminente è rappresentato dal 15 maggio, data in cui il movimento dei Giovani palestinesi d’Italia (Gpi) ha invitato gli studenti ad accamparsi nei cortili degli atenei. Un appuntamento visto con una certa preoccupazione nelle otto università cittadine, in particolare nelle sei più grandi. Vediamo com’è la situazione.

Si prevedono nuove occupazioni negli atenei milanesi per il conflitto israelo-palestinese

Statale. Senza dubbio è l’università che sta vivendo il momento più difficile. Lo scorso 5 aprile si è svolta l’occupazione del rettorato per chiedere una presa di posizione dell’ateneo sul conflitto in corso a Gaza considerato “genocidio” dagli studenti filopalestinesi. Nei giorni scorsi si è avuto l’annullamento del convegno sullo stato di Israele promosso dall’associazione Italia Israele di Savona, prima concesso dal rettore Franzini per il 7 maggio e poi annullato in quanto dalla Questura hanno fatto sapere che il rischio di incidenti era giudicato «altissimo», al punto da dovere schierare la celere in assetto antisommossa e allestire altre misure di contenimento. Si profilavano, insomma, scena da guerriglia anni ‘70 che il rettore ha preferito evitare. Resta lo stato di tensione anche perché Italia Israele ha chiesto una nuova data per il convegno.

Politecnico. Clima teso anche al Politecnico dove lo scorso 9 aprile un gruppo di studenti ha protestato contro il bando dell’accordo scientifico tra l’università milanese e gli atenei di Israele che scadeva in quella data. Alcuni studenti sono entrati nel rettorato con l’intenzione di occupare le sale del governo accademico e parlare con la rettrice Donatella Sciuto per discutere del bando e degli accordi con la filiera bellica, ma la professoressa era assente.

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Bicocca. Lo scorso 3 aprile si è avuta la protesta degli studenti universitari di Cambiare Rotta durante la riunione del senato accademico dell’Università Bicocca di Milano che ha approvato un documento di solidarietà con il popolo palestinese proposto dalla rettrice Giovanna Iannantuoni. Una parte degli studenti ha chiesto anche una forma più forte di boicottaggio. Intanto per il 14 maggio e il 4 giugno sono previsti due incontri sul conflitto, un’occasione per conoscere meglio la vicenda sul piano storico e politico.

Iulm. Situazione più tranquilla alla Iulm dove, nelle settimane scorse, si sono svolti incontri molto partecipati sulle religioni. Per ora niente scontri in linea con la tradizione dell’università.

Cattolica e Bocconi. Poco da segnalare, non ci sono state proteste né tentativi di interventi sull’attività accademica. Stesso discorso per i due atenei minori come il San Raffaele e l’Humanitas.

 

 

 

Il filosofo Stefano Zecchi commenta le recenti proteste studentesche: «Vedo solo rancore nei confronti del benessere e della democrazia e un antiamericanismo viscerale»

Fermezza contro gli studenti violenti. Lo sostiene Stefano Zecchi, filosofo, scrittore con una lunga esperienza nel mondo universitario.

atenei
 

Professore, come giudica la protesta universitaria che si sta svolgendo negli atenei milanesi?
«Per capirla bisogna osservare la figura dello studente impegnato nella contestazione: si tratta di una persona rancorosa di fronte alle opportunità che la società borghese gli offre».

Da cosa deriva questo rancore?
«Dal fatto che non riesce a sentirsi protagonista».

Potrebbe essere un’analisi valida anche per il ‘68.
«Non direi perché oggi i giovani non hanno un progetto sociale. Nel ‘68 la protesta era generazionale, si contestava il padre, il perbenismo delle autorità, si chiedeva di riformare i piani di studio, c’era il rifiuto di ciò che ci era stato dato».

Potrebbero essere caratteristiche presenti anche oggi.
«Io oggi vedo solo rancore nei confronti del benessere e della democrazia e, soprattutto, un antiamericanismo viscerale che è il tratto culturale anche di questa protesta: sono contro il capitalismo, la democrazia, le differenze».

È per questo motivo che le manifestazioni contro i regimi iraniano e russo sono quasi assenti?
«Certo, in questi casi viene a mancare la figura del padre padrone che i giovani identificano negli Stati Uniti, nell’occidente. Questo aspetto si vede in modo manifesto nella loro richiesta di interrompere le relazioni dei nostri atenei con quelli israeliani».

I loro genitori e soprattutto i loro nonni hanno contestato a lungo, perché non dovrebbero farlo anche loro?
«Questo è vero: credo che sia bello che una generazione richieda un suo spazio e non accetti eredità paterne, il problema è quando assume forme violente e sceglie obiettivi sbagliati. Sotto questo punto di vista è preferibile il movimento ecologista di Greta Thunberg».

Da docente è mai stato contestato?
«Ho insegnato a Padova negli anni caldi del terrorismo, tempi duri, drammatici, molto violenti».

Come gestirebbe una situazione come quella che si è creata alla Statale con la cancellazione del convegno su Israele?
«Conosco il rettore, è stato mio assistente. Io sarei molto fermo, sono in gioco i valori della libertà e della democrazia per cui non consentirei nessuno spazio all’antiebraismo: l’università è un luogo di verità, di sapere, va protetta dalla brutalità».

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