Il climate change secondo Stefano Boeri: «Le città facciano in fretta»

stefano boeri
stefano boeri

Quella di Greta Thunberg sarà «la generazione protagonista di una sfida straordinaria o la vittima di una terribile sfida persa»: quando parla di cambiamento climatico, Stefano Boeri non usa troppi giri di parole.

Milanese doc, il presidente della Triennale e architetto del Bosco Verticale è stato a New York per una due giorni di incontri che ha posto Milano al centro della sfida per la sostenibilità ambientale, in occasione dell’Italian Design Day: «Perché sono le città a dover affrontare il Climate Change».

Boeri, perché le azioni delle città incidono più delle misure dei Paesi?
«Perché portare le foreste nei centri urbani vuol dire combattere il nemico dove è più forte. Le città devono farlo».

In che modo?
«I centri urbani producono il 75% di anidride carbonica, le foreste ne assorbono il 40%. Si devono moltiplicare queste superfici vegetali per contrastare i cambiamenti del clima».

Milano a che punto è?
«Il Bosco Verticale non può essere visto solo come una cosa bella da fotografare, ma come utile. E credo che Milano sia sulla strada giusta».

L’obiettivo entro il 2030 è di piantare 3 milioni di alberi nella sola area metropolitana milanese.
«Se ogni persona ne piantasse uno domani avremmo già raggiunto l’obiettivo».

Però non lo fanno.
«No. La spinta deve arrivare dalle amministrazioni, come sta accadendo con la giunta Sala, che secondo me sta facendo bene».

Ma siamo in tempo per raggiungere l’obiettivo dei 3 milioni?
«Non saprei, ma l’operazione è partita».

Al Consolato e all’Istituto Italiano di Cultura di New York, Milano è stata celebrata per le sue buone pratiche: perché questa attenzione, ora?
«Expo, al di là dell’evento in sé, è stato catalizzatore di energia: la città è cresciuta in poco tempo con una quantità e una qualità che in genere ti aspetti da una metropoli in non meno di 15 anni. All’estero si nota».

A maggio a New York si terrà la rassegna Smart Cities: crede sia utile la presenza di Milano?
«Assolutamente sì, è un’occasione preziosa».

Che cosa può portare Milano a New York?
«La ricetta che l’ha sempre resa tra le prime in Europa: una forte spinta verso l’innovazione e una grande generosità sociale. Perché senza riscontro sul sociale l’innovazione perde valore».

E cosa può ricevere in cambio?
«Le grandi città non possono affrontare le sfide della sostenibilità e del cambiamento climatico senza parlarsi tra loro e condividere i progetti: lo scambio è inestimabile».

La sensazione però è che la categoria “smart city” sia un bel contenitore vuoto di contenuti.
«Lo è, inteso come oggi».

Ovvero?
«Come concetto dagli addetti ai lavori. Sta a noi riempire quel contenitore, favorendo l’interconnessione tra i cittadini, la partecipazione diretta, l’accessibilità ai servizi».

Milano e New York: che cos’hanno in comune e cosa di diverso?
«Di diverso molto, ma condividono un profondo senso dell’utilità sociale del lavoro. Mi ha sempre colpito, di entrambe, la potenza dedicata alla dimensione collettiva e alla generosità che il lavoro produce».

Se Milano dovesse guardare a una città di oggi per capire come affrontare la sfida alla sostenibilità, lei quale sceglierebbe?
«Non ce n’è una: Berlino e Parigi, New York e Shangai, Melbourne e Tirana, fino a Singapore. I modelli sono tanti, fare rete tra le città significa scambiarsi le loro buone pratiche».

Contrasteremo il Climate Change?
«Dobbiamo entrare nell’ottica di cambiare le nostre abitudini quotidiane, come individui. E chiedere alle città di agire in fretta. Ma non è troppo tardi».

La Triennale a Brooklyn

Non solo Consolato Generale e Istituto Italiano di Cultura. Milano è stata protagonista anche a Brooklyn. Nello spazio di co-working New Lab, Paola Antonelli ha raccontato la mostra Broken nature, design takes on human survival di cui è curatrice, sviluppata per la 22esima esposizione internazionale della Triennale di Milano.

«Il tema del cambiamento climatico è centrale e deve preoccuparci: crediamo però nel concetto positivo per cui il design sia capace di ricostruire e unire» ha detto Antonelli, curatrice del dipartimento di Architettura e Design presso il Museum of modern art di New York. La mostra Broken nature, “natura spezzata”, è stata inaugurata l’1 marzo. E comprende una selezione di un centinaio di progetti degli ultimi tre decenni. «Esempi di design e arte ricostituente provenienti da tutto il mondo».

Con l’obiettivo, ha spiegato Antonelli, di offrire un approccio creativo per «ripensare in modo differente il nostro rapporto con l’ambiente e con gli altri esseri umani».


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