Il caso Montanelli. L’unico grande perdente: un dibattito appiattito che ha (già) perso il senso della realtà che viviamo

Abbiamo chiesto ai milanesi cosa pensano del caso Montanelli. Ma, permetteteci, noi una risposta l’abbiamo già

«Gli italiani non imparano niente dalla storia anche perché non la sanno», è una delle massime più celebri di Indro Montanelli. Una frase utilizzata da LUMe, il Laboratorio Universitario Metropolitano, per aprire il proprio comunicato di rivendicazione dell’atto di vandalismo sulla statua del fondatore de Il Giornale. Una sorta di filo rosso che unisce il passato con il presente: Montanelli si ergeva a giudice del suo tempo, così come oggi LUMe esprime attraverso un gesto simbolico la propria interpretazione della storia.

 

Il caso Montanelli

Il caso Montanelli
Il caso Montanelli

Dibattito tra fazioni. Negli ultimi giorni l’opinione pubblica si è divisa aspramente sul fronte pro e anti Montanelli. Lo stesso sindaco Sala, in un videomessaggio domenicale, ha dichiarato di esser «disorientato per la leggerezza con cui l’ex direttore del Corriere raccontava di aver acquistato una bambina africana in Etiopia», ma al tempo stesso non ha potuto non sottolineare «lo spirito di Montanelli nella lotta per garantire la libertà di stampa».

Il LUMe. Contattati da Mi-Tomorrow, i responsabili di LUMe hanno voluto sottolineare che «Sala fa parte di quella classe politica liberale che ha metabolizzato quei valori espressi dal ‘900», tra i quali si insinua anche l’accettazione del colonialismo nostrano. «Senza una giusta revisione critica, la storia non può definirsi tale» è uno dei passaggi del comunicato pubblicato dal collettivo. La mancanza di uno sguardo critico, sempre secondo i giovani universitari, porta irrimediabilmente ad uno «scontro generazionale» tra chi accoglie l’eredità del secolo scorso e chi la rispedisce al mittente.

Il caso Montanelli
Il caso Montanelli

Il senso della storia. Il lavoro di uno storico è quello di raccogliere fonti, analizzarle ed incrociarle per ottenere un fine ultimo: la verità. Un’opera complessa, in quanto ogni storico prima di essere definito tale sarà sempre e comunque un essere pensante con opinioni che lo influenzeranno. Per questo il dibattito diventa fondamentale: il confronto tra le parti aiuta a mediare e a ritrovare l’equilibrio di una visione asettica tesa alla ricerca della verità. Gli antichi romani condannavano alla damnatio memoriae coloro che si macchiavano di reati gravissimi. Ogni ricordo legato al colpevole veniva eliminato rimuovendo il suo nome da ogni genere di iscrizione. Applicarla ai nostri giorni aiuterà a riscoprire il senso della storia? Un monumento pubblico o un nome di una via possono diventare espressione di un insegnamento del passato?

E le donne? Il marasma intorno ad Indro Montanelli è un’altra occasione perduta per sviluppare un dibattito storico genuino e forse quella “revisione critica” auspicata dallo stesso LUMe. Si dice spesso che il passato sia un monito per il futuro. E allora che le statue di domani siano il frutto di una riflessione in grado di coinvolgere ogni parte della comunità. A Milano, ad esempio, nessun monumento celebra le tante donne che si sono contraddistinte in città. Fino a quando, però, il dibattito si appiattirà su chi è “razzista” e chi è “antagonista”, non potrà far altro che cadere nella trappola della strumentalizzazione politica. Si gioca a chi grida più forte ed in tutto questo c’è un unico grande perdente: la storia.

L’intervista a Paolo di Bello, Accademia di Belle Arti di Brera

Paola Di Bello è titolare della cattedra di fotografia dell’Accademia di Belle Arti di Brera, è a capo del Dipartimento di Nuove Tecnologie ed è anche un’artista di livello internazionale: i suoi lavori sono stati esposti alla Biennale di Venezia, allo Hunter College di New York, al Museo del Novecento e in tantissime altre gallerie. Per questo motivo chiediamo a lei dove sia la linea di confine tra arte e protesta.

Paolo di Bello, Accademia di Belle Arti di Brera
Paolo di Bello, Accademia di Belle Arti di Brera

Cosa pensa del dibattito attorno alla statua di Montanelli?
«È obiettivamente un po’ sterile. Analizzandolo con gli occhi di un’artista, mi muoverei però secondo due nuclei di pensieri».

Ovvero?
«Il primo parte dal presupposto che un’artista non rimuoverebbe mai una scultura di un altro artista. Quella statua non è Indro Montanelli, ma un manufatto prodotto da Tongiani. Se dovessimo abbatterla in quanto manifesto del colonialismo e dello schiavismo, probabilmente ci toccherebbe tirare giù anche le Piramidi e il Colosseo».

Addirittura?
«Beh, provi a pensare alle migliaia di schiavi sfruttati per la loro realizzazione oppure ai gladiatori dati in pasto ai leoni per puro divertimento. Nel calderone potremmo mettere anche il Duomo».

Perché?
«In fondo sono state sfruttate tantissime maestranze per costruirlo. L’uomo ha sempre fatto cose indicibili, ma non si possono confondere i livelli. È come mischiare i sogni con la realtà».

E, quando parla di secondo nucleo, a cosa fa riferimento?
«Il secondo filone di pensiero riguarda il concetto di arte pubblica. Spesso le statue poste in mezzo ad una piazza sono invadenti: il pubblico non è stato interpellato».

Quindi come dovrebbe essere un’opera d’arte pubblica?
«Non è un’opera collegata alla categoria del “bello”, anche perché ognuno ne fornisce un’interpretazione personale. È un’opera fruibile che spinge alla riflessione».

Ci fa un esempio?
«Un po’ di anni fa Stefano Boccalini installò delle amache nel centro di Milano, per la precisione nel giardino dove ora sorge il bosco verticale. I visitatori potevano stendersi su esse e guardare quel contesto urbano da un’altra prospettiva».

Quindi le opere della città si dovrebbero orientare verso l’arte pubblica?
«Secondo me dovrebbero rispecchiare questa concezione».

Che cos’è l’arte?
«Questa è la domanda della vita. Potrei risponderle con una boutade: “L’arte è ciò per cui io ho convinto te a crederla come tale e per cui sarai disposto anche a pagarla come arte”».

E per Paola Di Bello, invece?
«L’arte è un’immagine che cattura l’attenzione e spinge ad un riflessione soggettiva e mutevole rispetto al pensiero all’origine dell’opera».

Le voci raccolte da Fabio Implicito

«Qui per altri 15 anni»

Franco Davini
Franco Davini

Franco Davini
80 anni, pensionato
«Sono venuto appositamente qui questa mattina per vedere cosa avessero fatto alla statua. È un inutile atto di vandalismo. Sono contento che la stiano ripulendo e facendola tornare al vecchio lustro. Non vedo per quale motivo si debba discutere sul tenerla o rimuoverla. Questa statua è qui da un sacco di anni, mi pare quindici. E spero che rimanga qui per altrettanti. Indro Montanelli è ciò che è stato e non serve a nulla dimenticare. Nel bene e nel male è un personaggio che ha rappresentato e rappresenta tutt’ora la storia del Novecento italiano».

«Modalità sbagliate»

Matteo Nassano
Matteo Nassano

Matteo Nassano
29 anni, disoccupato
«Penso che le motivazioni alla base della protesta sulla statua di Indro Montanelli siano sostanzialmente giuste, ma le modalità di espressione vanno completamente riviste. Anzi, sono convinto che con certi atti di vandalismo si perda proprio il senso intrinseco del gesto simbolico. Quel monumento non riguarda il razzismo e soprattutto non riguarda il passato coloniale di Indro Montanelli: è una celebrazione del giornalista e del suo contributo dato al mondo del giornalismo in un luogo drammatico. La statua rappresenta esclusivamente questo e null’altro».

«Timore del passato»

Cristina Merico
Cristina Merico

Cristina Merico
Pensionata, 65 anni
«Credo che l’atto di vandalismo contro la statua di Montanelli sia semplicemente l’espressione di chi teme soprattutto il passato. Che senso ha togliere quella statua? Che effetto può avere sulle generazioni future? Montanelli, come credo tutti noi, ha compiuto degli errori nella vita per cui può essere indubbiamente criticato. Al tempo stesso ha rappresentato alcuni valori che ormai sono parte della cultura italiana. Accanirsi contro di lui è inutile. In fondo, come dicevo poco fa, non ha senso aver paura di un morto: non può far male a nessuno».

«Un atto di vandalismo»

Emma Jaffe
Emma Jaffe

Emma Jaffe
20 anni, studente
«La statua è posizionata lì da anni, ma non la reputo un problema così pressante per la città di Milano. Credo che il personaggio vada valutato nel complesso per tutto ciò che ha compiuto nella sua vita. Sarà pur vero che ha abusato di una bambina in Abissinia, ma allo stesso modo ha rappresentato molto per il giornalismo e la nostra cultura. Capisco che tutto venga fatto sull’onda del Black Lives Matter, del quale condivido pienamente le posizioni, ma non credo che in Italia il problema del razzismo sia evidente come in America».

«Il mondo è cambiato»

Giuliano Colli
Giuliano Colli

Giuliano Colli
50 anni, impiegato
«Chi ha compiuto questo atto di vandalismo si è comportato nella stessa maniera delle squadracce fasciste che vorrebbe criticare. Azioni come queste abbassano il linguaggio politico dividendo i partecipanti solamente tra fazioni che dibattono su argomenti fuori dal tempo relegati alla storia di 100 anni fa. Di statue di persone con delle macchie sul proprio passato ce ne sono tantissime. Le dovremmo rimuovere tutte. Mi viene da pensare a Togliatti che all’epoca si scagliò contro gli omosessuali. Lasciamo perdere ciò che è stato: in fondo il mondo è cambiato».

«Tra memoria e politica»

Konrad Iarussi
Konrad Iarussi

Konrad Iarussi
45 anni, cantautore
«Imbrattare una statua per la semplice voglia di affermare un’ideologia è il modo peggiore per infrangere l’ideologia stessa. Una statua è una forma d’arte, un prodotto culturale messo lì per rappresentare la nostra memoria in qualunque sua accezione, sia positiva che negativa. In storia si studiano gli eventi positivi, ma anche quelli negativi. Anzi, forse proprio questi ultimi vengono approfonditi maggiormente affinché si possa attingere dal passato per non commettere gli stessi errori un futuro. I simboli della nostra nazione vanno osservati scevri da ogni connotazione politica».