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29. 04. 2024 00:34

Corso Como e Darsena, dilagano le baby gang: «Musica, alcol e soldi: così si riempie il vuoto»

La musica rap, la voglia di visibilità sui social, atti bullismo nei confronti di coetanei anche nei luoghi della movida sono solo alcuni ingredienti di un fenomeno complesso

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La sua Everyday (con Takagi & Ketra, Anna & Geolier) è al primo posto delle classifiche discografiche. Il rapper Shiva, però, in questo momento si trova in carcere con l’accusa di tentato omicidio per i fatti accaduti lo scorso 11 luglio in una sparatoria fra esponenti della scena trap milanese avvenuta fra Baggio e Settimo Milanese, durante la quale sono rimasti feriti due ragazzi. Poco dopo essere stato arrestato, Andrea Arrigoni (vero nome di Shiva) ha ricevuto una nuova ordinanza di custodia cautelare per una violenta rissa avvenuta sempre questa estate a San Benedetto del Tronto.

Il suo caso ricorda quello di altri rapper di successo: Baby Gang (Zaccaria Mouhib), che si trova agli arresti domiciliari in una comunità terapeutica del Lago di Como per aver commesso diversi reati penali, ma anche Simba La Rue (vero nome: Mohammed Lamine Saida), condannato a quattro anni di reclusione per lesioni e rapina per un’aggressione commessa insieme alla sua “banda” in via Settala a Milano. Quest’ultimo, con Baby Gang, ha in comune anche un altro processo. Intanto ha fatto discutere il fatto che lo stesso Baby Gang a settembre abbia avuto il permesso di uscire dalla comunità e di salire sul palco dell’Ippodromo di San Siro per esibirsi accanto all’amico Lazza.

Shiva, Baby Gang e Simba La Rou hanno rispettivamente 24, 22 anni e 21 anni. Sono un po’ i fratelli maggiori dei ragazzi che, di età compresa fra i 15 e i 17 anni fanno parte delle baby gang che agiscono a Milano commettendo atti vandalici, provocando risse e facendo piccole rapine nei confronti di coetanei in varie zone della città. La compagnia dei Carabinieri Milano Duomo è riuscita a stilare una mappa di queste bande. In tutto i Carabinieri hanno individuato 13 gang con rispettivi nomi e zona di appartenenza.

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Di recente la Z4 (che agisce in zona Corvetto) ha rivendicato una scritta ingiuriosa nei confronti del ministro Matteo Salvini. Quella delle baby gang non è un fenomeno nuovo, ma complesso e accentuato negli ultimi anni dopo i lockdown dovuti alla pandemia. Come ben evidenzia l’accurata ricerca dell’Università Cattolica di Milano – il rapporto Transcrime stilato un anno fa in collaborazione con la Direzione Centrale della Polizia di Stato e il dipartimento per la Giustizia Minorile del Ministero della Giustizia – in città prima imperversavano le bande dei latinos, ora ci si trova di fronte a ragazzi che agiscono in modo più “fluido” e che non provengono per forza da situazioni familiari disagiate o da famiglie di origine straniera.

Oltre ad agire nei singoli quartieri “di appartenenza”, piccoli gruppi di giovanissimi sono coinvolti in risse nelle zone della movida, come avvenuto in corso Como nella notte fra venerdì e sabato scorsi, quando due sedicenni e un diciassettenne sono stati bloccati dalla polizia sospettati di aver accoltellato un ventunenne ricoverato in gravi condizioni al Fatebenefratelli. «Indubbiamente la situazione continua a essere delicata – ha spiegato il sindaco Beppe Sala – e so anche che certamente bisogna fare di più, sia in termini di controllo sia anche rispetto al fatto che c’è la sensazione di uno scarso rischio da parte di chi delinque». E se lo dice il primo cittadino…

La mappa delle baby gang
La mappa delle baby gang

Baby gang, parla Don Claudio Burgio (cappellano del Beccaria): «Questi giovani agiscono solo in base all’istinto e agli impulsi del momento»

Giovanni Seu

Quelli come lui sono chiamati preti di strada, definizione un po’ restrittiva per don Claudio Burgio che frequenta tutti i luoghi del disagio giovanile, in modo particolare quelli dove si svolge il recupero, come Kayròs, la comunità da lui fondata a Vimodrone.

Da quanto tempo è cappellano al carcere minorile Beccaria?
«Diciotto anni, quando don Rigoldi andrà via sarò il titolare».

Com’è cambiato il Beccaria in questi diciott’anni?
«All’inizio c’erano più italiani, poi sono arrivati maghrebini, arabi, ragazzi senza famiglie che si portano appresso difficoltà linguistiche, culturali».

Quanti sono i detenuti?
«Una cinquantina, in tutta Italia sono circa quattrocento».

Don Luigi Burgio
Don Luigi Burgio

Quali reati hanno commesso?
«Quelli contro la persona e il patrimonio: furti, rapine, violenze, c’è pure qualche caso di omicidio».

Ha parlato di mancanza delle famiglie: vale anche per gli italiani?
«No, in questi casi il problema è che le famiglie sono troppo presenti generando così nei figli ansia di prestazione, ossessione per i risultati al punto che finiscono per sviluppare un’avversione verso i loro genitori a causa del senso di inadeguatezza, della frustrazione che provano per non essere all’altezza».

Com’è caratterizzata la loro vita?
«Da un vuoto di senso, dall’immediatezza degli istinti, dall’impulsività».

Fanno uso di stupefacenti?
«Anche di alcolici, in questo modo compromettono la loro stabilità emotiva. Le serate alcoliche servono per coprire un vuoto e hanno come conseguenza la realizzazione di reati».

Quanto contano i soldi e l’abbigliamento?
«Bisogna considerare che questi ragazzi non sono abituati a soffrire e sono incapaci di dare un senso alla sofferenza. Il possedere, l’apparenza esteriore diventano importanti nelle logiche di gruppo, è un modo per essere accettati».

L’abbigliamento può diventare un tratto distintivo del gruppo?
«In alcuni casi, ad esempio per i maranza che hanno un loro look particolare».

E’ all’interno del gruppo che si svolge tutta la loro vita?
«Nel gruppo, che ha le sue leggi e si suoi spazi, trovano un senso di appartenenza».

Più che di gruppo si può parlare di gang?
«Gang è un tema esasperato».

Quanto conta la musica?
«E’ un altro termine di riferimento, crea appartenenza. Bisogna capire che oggi la musica non è solo un fatto artistico, è uno strumento di comunicazione in cui si trovano gli sfoghi dei giovanissimi».

Quando parliamo di musica ci riferiamo al rap che ha contenuti molto forti.
«Sono sbagliate le valutazioni negative nei confronti dei rapper, non sono mostri ma piuttosto vittime di una cultura che li usa come target».

Le gang o gruppi, che sono state censite dalla questura, hanno riferimenti etnici?
«Sì, in particolare quelle dei magrebini».

Sono vicini al fondamentalismo islamico?
«E’ il rischio che si crea quando c’è una crisi d’identità ma al momento non è alto come in Francia».

Quelle latino americane possono essere considerate gang?
«Sì perché hanno caratteristiche particolari come il linguaggio, i riti di passaggio».

Cose che non si vedono in altre realtà?
«Altri gruppi sono meno complessi, a volte sono amici d’infanzia che mantengono stretto il legame anche nel periodo successivo».

Baby gang, tre domande a Eugenio Arcidiacono: «La violenza è finalizzata al desiderio di visibilità»

Daniela Marsile

Le baby gang sono più diffuse a Milano rispetto ad altre città?
«No. Da Nord a Sud, nei piccoli e nei grandi centri, le storie che ho raccolto raccontano realtà simili: quelle di gruppi di ragazzi e, spesso, anche di ragazze, che compiono atti violenti anche gravi con l’obiettivo prioritario di acquisire visibilità, a cominciare dai social».

Eugenio Arcidiacono
Eugenio Arcidiacono

Una volta fermati dalle forze dell’ordine si rendono conto della gravità degli atti commessi?
«Solitamente continuano a pensare che sia tutto un gioco. Un carabiniere mi ha raccontato di una ragazza che è scoppiata a piangere solo quando ha capito che il suo cellulare le era stato sequestrato. Questo atteggiamento è rafforzato dal comportamento dei genitori che tendono a giustificare i loro figli con frasi come: “Che esagerazione, mio figlio non è Totò Riina“»

Ha raccolto anche storie a lieto fine?
«Penso a Lorenzo, un nome di fantasia, che ho incontrato nelle comunità di don Burgio. Con un’aria da gradasso si è vantato con me di aver picchiato insieme ad alcuni suoi amici un coetaneo che non voleva prestare il suo motorino. Ora so che dopo un duro percorso di recupero durato più di un anno, in cui il ragazzo ha per prima cosa compreso la gravità delle sue azioni ha ripreso gli studi che aveva abbandonato, ha ottenuto la Maturità e ora lavora».

Movida e violenza, l’Associazione Commercianti: «Non ci arrendiamo: no al divieto d’asporto»

Tiziana Cairati

Paolo Sassi
Paolo Sassi

Non è solo una questione di baby gang o di reati come furti e rapine. Nelle zone della movida si crea spesso un problema di schiamazzi che, fino a tarda notte, disturbano residenti e non. Per ovviare a questo problema, il Comune ha emesso un’ordinanza per chiudere a mezzanotte i dehor dei locali in zona Porta Venezia e il divieto di asporto di alcolici. Paolo Sassi, presidente dell’Associazione Commercianti Porta Venezia Milano Rainbow District, non ci sta.

Ci sono frizioni in atto tra i commercianti e i residenti. Il Comune di Milano conferma la chiusura anticipata per i dehors e il divieto d’asporto.
«In questo modo si va a gravare sulle entrate dei locali, che comprendono anche gli stipendi dei dipendenti, che sono assunti a tempo indeterminato. Noi commercianti dell’associazione Milano Rainbow District non siamo contro i residenti. Abbiamo sempre chiuso alle 2.00 di notte seguendo le regole. Ma il divieto d’asporto non lo accetteremo mai, ci pagassero e ce ne andiamo».

Avete provato a incontrarvi con Palazzo Marino cercando una soluzione?
«Abbiamo proposte serie, valide, sostenibili. Ma non c’è stato un dibattito serio: il Comune avrebbe dovuto cercare un dialogo per trovare una soluzione. Le dico di più».

Prego.
«Tutto il caos dei locali nasce dal Governo Monti con la liberalizzazione degli orari. È vero che con le nuove regole si devono chiudere i dehors a una certa ora, ma poi cosa fai? Fai entrare tutti i clienti nel locale e continui a dare da bere a tutti? È un grande pasticcio perché si prolunga ancora di più la sosta delle persone in strada. Fino alle 3.00 i locali possono dare alcol».

Proposte?
«Una potrebbe essere quella di chiudere completamente i locali alle 2.00. In questo modo si ottengono due cose: la prima è che le forze dell’ordine possono monitorare meglio, la seconda è che basta un mese di un’ordinanza che i locali “traino” spariscono. In questo modo si capisce chi lavora seriamente e chi no».

Si sente di dire qualcosa al sindaco Sala?
«Tendo la mano a Sala. Non capisce che questa decisione va a cancellare un luogo che negli anni è diventato un simbolo di diritti per l’inclusione. Voglio sottolineare che nessuno vuol far impazzire i residenti, ma non ci arrendiamo: faremo gli Stati Generali con la Confcommercio».

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