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24. 04. 2024 12:26

Drop marketing: il business (esentasse) dei giovani milanesi

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C’è chi ha creato marchi facendone una filosofia e soprattutto, come direbbe il vincitore di Sanremo 2019, Mahmood, facendo tanti soldi: si chiama “drop marketing”. La strategia è lanciare prodotti sul mercato in edizione limitata, annunciandoli poco prima di renderli disponibili in un periodo breve e solo in alcuni negozi.

È questo il fenomeno commerciale che genera file notturne fuori da alcuni negozi con ragazzi capaci di resistere notti intere per essere sicuri di comprare almeno un paio di scarpe limited edition o una borsa o una valigia, da rivendere almeno al triplo del prezzo d’acquisto su canali online. Esentasse.

A Milano ci sono giovani under 30 che hanno scelto di cavalcare questo modello di business. Seguono i social, si piazzano in fila per interminabili ore, acquistano l’ultima scarpa limited edition a 100, poche ore dopo pubblicano l’annuncio, con foto originali, sulle principali bacheche internet e rivendono ad almeno tre volte il prezzo.

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Il target principale di riferimento è rappresentato dai cinesi. A Milano ci sono centinaia di buyer che acquistano per rivendere al pubblico asiatico che negli ultimi dieci anni mostra segni di continua crescita nei confronti dei marchi di moda europei.

Nike, Adidas, Balenciaga, Rimowa, Celine sono solo alcuni dei brand che più di altri stanno cavalcando il fenomeno. Come? Inventandosi collaborazioni con stilisti o altri marchi in grado di attirare per pochi giorni l’attenzione del pubblico. James Jebbia di Supreme ne ha fatto la sua filosofia milionaria: «Se so che ne posso vendere 600, allora ne produco 400».

Supreme è un marchio di streetware newyorchese nato nel 1994, diventato brand di culto, collaborando con designers, artisti, fotografi e musicisti da Kate Moss a Michael Jordan e Lady Gaga. La tecnica del rilascio controllato di nuovi prodotti in limitati periodi di tempo è collaudata: Supreme crea collezioni stagionali ma che mette in commercio gradualmente ogni settimana.

Tanto per capirci, ogni giovedì mattina una fila interminabile di persone si posiziona fuori lo store di New York o di Londra e attende l’apertura per tentare di aggiudicarsi un capo dei suoi prodotti “drop”. Basti pensare che la “capsule collection” (tiratura limitata del prodotto) di valigie in collaborazione con Rimowa, è andata sold-out dopo 16 secondi nonostante costasse 1.600 euro.

Se voleste oggi comprarla, potete cercarla su eBay e la troverete a non meno di 4.000 euro. Lo stesso si può dire per Burberry, che ha venduto una “capsule collection” dello stilista Riccardo Tisci, acquistabile solo per 24 ore dopo la sfilata e solo sui loro canali Instagram e Wechat e nello shop di Londra. E così Louis Vuitton con Virgil Abloh.

Per fare “bingo” il canale privilegiato resta Instagram. Una strada inevitabile per rimanere in contatto con la tribù di consumatori che si entusiasma di fronte alle continue novità e che usa il proprio smartphone. Tutto nasce lì, poi ci si organizza per la coda notturna, mentre l’atto finale, ovvero la rivendita del prodotto acquistato, è il gioco più facile.

Se poi online le cose non vanno proprio filate e veloci, a Milano ci sono due indirizzi per acquistare scarpe, borse e altri accessori limited edition. Si chiamano Spectrum in via Felice Casati 29 e DropOut in via Urbano III 4. Provare per credere.

«Fino a 3.000 euro al mese»
Il reseller Gianluca: «Le mie esperienze con Nike, Rimowa e Balenciaga»

La faccia è di quelle pulite. Col cellulare sempre in mano. Pronto a captare ogni impulso proveniente dai social. E a controllare le richieste di prodotti, rigorosamente limited edition. Gianluca (il nome è di fantasia su richiesta specifica di mantenere l’anonimato) ha 24 anni, frequenta l’ultimo anno di Scienze della Comunicazione in Bicocca, ma in tasca gli girano parecchi soldi, frutto di vendite da “reseller”.

Lui acquista spesso sneakers in limited edition, come da Nike Lab, la scorsa settimana in via Statuto, poi, quando sono già esaurite, le rivende online su piattaforme sicure. «Il pagamento avviene tramite PayPal – spiega -. Il metodo è sicuro, immediato ed è come se un amico mi stesse regalando soldi. Diversamente girano tanti contanti». Tradotto: vendita esentasse. «Ci sono mesi in cui riesco anche a guadagnarne 3.000 euro, dipende dai prodotti che i marchi decidono di lanciare – prosegue -. Gli affari più frequenti si fanno con le sneakers, quelli più remunerativi con borse o valigie».

Nel giugno scorso, rischiando anche lì la rissa, riuscì ad accaparrarsi una Rimowa Off White trasparente, in edizione limitata, venduta solo in cinquanta pezzi per un’ora in Rinascente. «La comprai al prezzo di listino a 800 euro – racconta -. L’ho rivenduta il giorno dopo a 2.400 euro». Già, ma chi spende tutti questi soldi? «Cinesi, soprattutto cinesi. Hanno qui a Milano tanti contatti di gente che compra da gente come me e a loro volta rivende là, diventano matti per questo genere di prodotti di moda».

Infine, un aneddoto: «Mesi fa Balenciaga lanciò una sneaker limited edition, in vendita sempre in Rinascente a 650 euro. La voleva una mia amica cinese per un suo canale di vendita, ma non riuscì a comprarla proprio perché cinese. Nelle boutique sanno che sono loro i principali reseller e spesso negano la vendita a chi ha gli occhi a mandorla. Ecco allora che interviene gente come me, con la scusa di comprarla per la fidanzata o la sorella». Chi riuscirà mai a fermarli?

Sneaker-mania: analisi di un fenomeno
Ecco il successo del Nike Lab di via Statuto

Giovanni Seu

Nel film Bianca, vecchia opera di Nanni Moretti, le scarpe svolgevano un ruolo da protagonista che raggiungeva l’apice nel monologo finale dello stesso Moretti: «Ogni scarpa una camminata. Ogni camminata una diversa concezione del mondo». Bisognerebbe partire da quella celebre pellicola per capire cosa è successo nella notte tra martedì e mercoledì della scorsa settimana quando tantissimi ragazzi si sono accampati fuori dal Nike Lab di via Statuto per conquistare un paio di Air Max 90 off-white, la scarpa esclusiva firmata dal designer Virgin Abloh per il colosso americano.

L’ultima volta che si è verificata una cosa del genere è stata lo scorso agosto, allora c’era da combattere il caldo estivo ma per le sneakers si fa questo e altro, sono oggetto di culto per non pochi giovanissimi. Molti di questi il 6 e 7 ottobre dello scorso anno sono accorsi allo Sneakerness, la rete internazionale che riunisce i collezionisti e rivenditori di sneakers: l’evento di Milano è stato il primo in Italia.

Ma non è tutto, pochi mesi prima si è tenuto un altro appuntamento per gli appassionati: dal 16 al 18 giugno, in occasione della Milano Fashion Week, ha aperto all’Ex Ansaldo Base di via Tortona il White Street Market, il primo Festival di Fashion e Street Culture rivolto sia ai buyer di tutto il mondo che al pubblico di acquirenti. Come rilevano tutti gli esperti di questa realtà, da anni il fenomeno è diventato di massa, non è più ristretto ai gruppi di ragazzi appassionati del rap o dell’hip hop.

Basta fare un giro in metropolitana per osservare come anche persone di mezza età calzino quelle che una volta erano note come scarpe da tennis. Tant’è che oggi si parla di “sneakerhead”, ovvero di colui che nutre una passione nelle sneakers, nel collezionismo o nel semplice acquisto e si dedica con attenzione alla pulizia delle scarpe e alla loro conservazione: il vero sneakerhead arriva perfino a conservare le scatole e la carta. È in modo particolare tra i giovanissimi che si riscontrano questi comportamenti al limite del feticismo e che danno vita a situazioni tipo quelle che si sono verificate di fronte al Nike Lab.

Una conseguenza di questa passione è il fenomeno dei reseller, cioè dei rivenditori. Di cosa si tratta? Le sneakers in limited edition, che non vengono prodotte in serie in modo che si possano trovare in ogni negozio, contano pochi centinaia di esemplari per cui chi non riesce a comprare la scarpa alla prima uscita può fare affidamento sui reseller, coloro che sono riusciti ad accaparrarsela e sono pronti a rivenderla, ovviamente a un prezzo spropositato.

A questo punto entra in gioco la disponibilità economica che consente di ottenere ciò che è già uscito dal mercato: anche questo aspetto spiega molto dell’assalto al Nike Lab, molte di quelle scarpe sono state già rivendute a prezzi anche triplicati rispetto a quelli d’acquisto. I guadagni dei reseller sono notevoli, se si considera che i prezzi di questo tipo di calzatura oscillano tra i 25 e i 600 euro e che nelle rivendite il costo viene tranquillamente moltiplicato sino a cinque volte.

Come accade per gli iphone, in cui si aspetta sempre il nuovo modello con impazienza, anche per gli sneakers in limited edition si aspetta la nuova uscita. Non sempre è necessario sottoporsi a file estenuanti, ci sono negozi in cui è possibile prenotarle per poi ritirarle con comodità: in questi casi la concorrenza degli acquirenti si batte avendo la conoscenza giusta del negozio. Per i collezionisti, sempre più numerosi, esiste poi la possibilità di effettuare gli scambi, com’è avvenuto nello Sneakerless di ottobre.

Una storia intramontabile
Da Michael Jordan a Giorgio Armani

L’origine delle sneakers risale all’800, con la messa punto del processo di vulcanizzazione nel 1850 fu inventata in Inghilterra la prima vera scarpa da ginnastica con la suola in gomma e la tomaia in tela. Questa scarpa conobbe sin da subito grande successo tra gli aristocratici, i quali la utilizzavano per praticare sport all’aria aperta, furono però le Olimpiadi di Atene del 1896 a conferire la sua fama alla calzatura, che divenne un vero e proprio fenomeno di massa.

Negli anni ‘50 le sneakers sbarcarono negli Stati Uniti, dove diventarono insieme ai jeans e alla giacca in pelle un simbolo di ribellione e di emancipazione grazie all’icona del cinema James Dean. Negli anni ’80 si assiste ad un boom del mercato delle sneakers: negli Usa ben 30 milioni di persone le hanno indossate per fare sport, jogging o semplicemente passeggiare nel parco.

Fu Michael Jordan, il giocatore della NBA , a contribuire a questo notevole successo, grazie alla collaborazione con la Nike: da quando il campione di basket è sceso in campo nell’ ottobre del 1984 indossando un paio di Air Jordan le sneakers hanno iniziato a spopolare tra gli amanti della pallacanestro e non solo. Subito dopo le sneakers smisero di essere un capo di abbigliamento indossato solo per fare sport e cominciarono ad essere abbinate a completi da ufficio da parte dei manager più giovani.

Un precursore di questa tendenza è stato lo stilista Giorgio Armani, seguito dal presentatore Piero Chiambretti, che continua ad indossarle anche sotto lo smoking. Oggi le sneakers sono un simbolo di alta moda, tanto che alcuni tra i più grandi stilisti le fanno sfilare sulle loro passerelle.

Cosa sono le Sneakers?
Sono scarpe da ginnastica un tempo utilizzate solamente in ambito sportivo ora anche nell’abbigliamento casual.

Quando sono nate?
Nel 1850 fu inventata in Inghilterra la prima vera scarpa da ginnastica con la suola in gomma e la tomaia in tela.

Quando hanno avuto successo?
Negli anni ’80 negli Usa o ben 30 milioni di persone le hanno indossate per fare sport, jogging o semplicemente passeggiare nel parco.

Chi è lo sneakerhead?
Colui che nutre una passione nelle sneakers, nel collezionismo o nel semplice acquisto e si dedica con attenzione alla pulizia delle scarpe e alla loro conservazione.

Chi è il reseller?
Colui che rivende le sneakers in limited edition che sono già esaurite: l’operazione avviene ad un prezzo spropositato su canali esentasse.

Quanto costano?
I prezzi di questo tipo di calzatura oscillano tra i 25 e i 600 euro. Quelli di rivendita almeno il triplo.

Con che abito si indossano?
Anche con quelli eleganti, Chiambretti le porta con lo smoking, alcuni tra i più grandi stilisti le fanno sfilare sulle loro passerelle.

«Ci sono giovani con tanti soldi in tasca»
Jacopo Riservato racconta gli orientamenti dei milanesi

Jacopo Riservato, 25 anni, si occupa delle vendite in un negozio di calzature. A Mi-Tomorrow illustra come sono gli orientamenti in città in tema di scarpe.

Come cambiano i gusti a seconda dell’età?
«Sono diversi, se consideriamo i più giovani e più anziani sono agli antipodi».

In cosa consistono le differenze?
«I più giovani, quelli sino ai 30 anni, sono più attenti alla bellezza mentre i più anziani privilegiano la comodità».

Quanto sono disposti a spendere i giovani?
«Ci sono ragazzi di 24 anni che calzano scarpe Valentino di 3-400 euro».

Dove trovano i soldi?
«C’è chi ha soldi da parte, chi lavora e chi ha la famiglia molto benestante».

Parliamo della sneakers: sono ambite?
«Sì, piacciono non solo ai giovani, ci anche sessantenni che le comprano: vogliono le scarpe giovanili».

Forse perché si possono portare anche con abiti eleganti.
«Da 5-6 anni si possono mettere con il completo, anche d’estate c’è la Stan Smith bianca che si può mettere con il vestito».

I giovani vogliono anche le scarpe classiche?
«E’ raro che le chieda uno di 26-27 anni, a meno che non debba partecipare a un matrimonio».

Cosa pensa del successo delle sneakers?
«Il mio punto di vista è che si tratta di un fatto di moda, sono uno status symbol: tra 20-30 anni le mode saranno sicuramente altre».


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