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04. 05. 2024 09:41

Massimo Bottura, Milano e il futuro delle idee: «Tengo sempre la porta aperta all’inaspettato»

Expo, il Refettorio, il cibo per l’anima, Davide Rampello. Ma anche Beppe Sala, Michelle Obama e quell’Ambrogino inatteso («A me, da modenese…»). Vita, opere e tanto, tantissimo futuro nella prima intervista per Mi-Tomorrow

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Inaspettato, un bagliore. Ed è proprio in quel barlume che gli occhi non pensavano di captare, ma che percepiscono… che la magia accade. Massimo Bottura, lo chef italiano più celebrato al mondo, ha sempre lasciato aperta la porta all’inaspettato, abbracciandolo. Fili che si intrecciano fino ad arrivare alla trama dei suoi molti progetti. Nel 1995 apre la sua Osteria Francescana a Modena, ottiene tre stelle Michelin e viene nominato per ben due volte miglior chef al mondo nella classifica The World’s 50 Best Restaurants. Poi Gucci Hosteria, Casa Maria Luigia, il Gatto Verde e molto altro, fino ad arrivare a uno dei progetti più nobili del suo disegno, aperto proprio a Milano, in piazza Greco, il Refettorio Ambrosiano, dove si recuperano eccedenze alimentari preparando pasti per i poveri.

Massimo Bottura si confessa a Mi-Tomorrow

Qual è il suo rapporto con Milano?
«Ho un rapporto molto importante con questa città. Per prima cosa perché sono nerazzurro (ride, ndr), poi perché ho iniziato il progetto di Food for Soul durante Expo. Ora è un progetto globale, serviamo milioni di pasti ogni anno in tutto il mondo, ma tutto è nato da Milano. Il Refettorio Ambrosiano si è potuto attuare grazie alla collaborazione di più persone che hanno creduto fortemente nel progetto: Davide Rampello, il cardinale Angelo Scola, Luciano Gualzetti, direttore delle Caritas».

Come nasce l’idea del Refettorio?
«Ero seduto allo chef table da Andrea Berton e stavo parlando con il professor Rampello, gli ho raccontato quello che volevo fare. Gli dissi che nessuno mi stava prendendo in considerazione e lui invece mi rispose che era un’idea meravigliosa. Nella mia testa volevo fare Miracolo a Milano e andare nella stazione dei treni. Ci avevano anche dato l’ok, poi il cardinale Scola e Papa Francesco hanno deciso che sarebbe stato meglio spostare l’attenzione dal centro alla periferia. Tutti i refettori infatti sono nati in periferia, come a Rio De Janeiro per le Olimpiadi: non lo abbiamo fatto nel centro, ma in Rua da Lapa ai margini di una delle più grandi favelas».

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Quindi anche a Milano avete scelto la periferia.
«Ci siamo spostati dal centro ai margini. In un luogo buio abbiamo portato la luce della bellezza. Abbiamo condiviso con tutti gli abitanti del quartiere opere d’arte, messaggi meravigliosi. Pensa che coloro che hanno protestato per l’apertura del refettorio, ora lo stanno gestendo. Sulla facciata di Greco c’è scritto “No more excuses”, per me l’Expo poteva finire qui. Pensa che me lo sono tatuato. Ora per me il quartiere Greco è casa».

Massimo Bottura
Massimo Bottura

E poi è arrivato l’Ambrogino d’Oro.
«Io da fuori, da modenese, che ricevo l’Ambrogino d’Oro… Per me è stata una cosa davvero importante. I premi dati sul territorio, in particolare in Italia, valgono doppio, perché non sei mai profeta in patria. Al refettorio sono venuti prima i giornalisti inglesi e americani, sono stati i primi a premiarci, poi sono arrivati tutti gli altri».

Ha appena partecipato alla decima edizione di IF Festival della creatività, il cui tema era Rock ‘n Roll, un invito a rompere gli schemi, a non aver paura di sbagliare. E poi è spesso dagli errori e dalle imperfezioni che nasce la bellezza.
«È quello che comunico da sempre: ricostruire in modo perfetto l’imperfetto. Simbolo di questo concetto è il mio piatto Oops! mi è caduta la crostatina al limone, un mix di sapori: il cappero di Pantelleria, la mandorla di Noto, i limoni di Sorrento, il bergamotto calabro, una creazione che rompeva il confine tra dolce e salato, era molto d’avanguardia a quel tempo. Dopo aver fatto questo piatto, mi chiamano alla Sidney Opera House per una conferenza sulla creatività. C’erano ragazzini di dieci anni che mi volevano incontrare e consegnare un libro fatto da loro il cui titolo era Oops! I dropped the lemon tart. Ce l’ho sulla mia scrivania è pieno di comics, fumetti, disegni, frasi».

Ma il successo di questo piatto non si è fermato qua.
«No, esatto. Cinque mesi dopo, vengo invitato a New York da Lisa Cooley, che aveva stimolato alcuni artisti di Soho a ricordare un errore fatto e a trasformarlo in un’opera d’arte. Il titolo della mostra? I dropped the lemon tart. Insomma dai bimbi delle elementari a Sidney, fino agli intellettuali newyorkesi tutti parlavano di questa crostatina al limone. La cosa folle è che una mattina mi telefona Stefano Domenicali (allora presidente e ad di Automobili Lamborghini, ndr) e si presenta con una Lamborghini bianca con scritto Oops! e il logo della casa automobilistica al contrario».

E una grande fan di questo suo piatto è anche Michelle Obama.
«Mi chiamò nell’ottobre del 2020, mentre stavano registrando una serie su Netflix per insegnare ai ragazzi a mangiare cibo sano. Mi disse che le sarebbe piaciuto che io interpretassi le verdure e insegnassi loro a mangiarle e a non aver paura dei funghi. Poi in un’altra puntata avrei dovuto parlare anche delle uova. Io pensai subito di portarla al Tortellante a vedere questo progetto pazzesco (un laboratorio terapeutico e abilitativo dove giovani e adulti con autismo imparano a produrre pasta fresca fatta a mano, ndr). E lei sai cosa mi chiese?»

No. Cosa?
«Che avrebbe voluto anche Oops!. Io le dissi che quel piatto lo conoscevano tutti e lei mi rispose che mi sbagliavo, che i bambini non lo conoscevano. Se tu insegni che l’errore può creare qualcosa di nuovo questi ragazzi capiranno che non si dovranno fermare al primo errore e che dall’errore può nascere qualcosa di nuovo e di bello».

Ci ha colpiti molto quello che ha detto a IF! Festival della Creatività: «Tengo sempre la porta aperta all’inaspettato e ci entro costantemente. Poi vediamo cosa succede».
«Per me la creatività è dare forma ai sogni. L’importante però è averli. Bisogna insegnare ai giovani a sognare. Perché spesso oggi non hanno sogni. È quello che io sto provando a dare a tutti i ragazzi che lavorano con me. Prima del Covid eravamo circa in centoquaranta, ora siamo duecentodieci solo a Modena. Io cerco di insegnare loro a sognare, a creare le cose».

Cos’è il sogno?
«Una questione di cultura, la cultura genera conoscenza, la conoscenza apre la coscienza di quello che tu fai e di come l’hai ottenuto. Dalla coscienza al senso di responsabilità il passo è brevissimo. È una questione di cultura e di andare in profondità».

Sogno, ispirazione, concetti che puntualmente divengono fondamenti nei suoi piatti.
«Dal post lockdown abbiamo cambiato il modo di concepire i nostri menù. Io non penso che l’ispirazione si trovi solo guardando le Dolomiti, la Costiera Amalfitana. Spesso avviene in un’area di servizio piena di cemento, lì capisci le cose in modo diverso, è tutta una questione di poesia. Se tu non hai uno spazio aperto per la poesia nella tua anima, non ti ci potrai mai tuffare e immaginare quello che gli altri neanche sognano. Questa è la differenza, la poesia non genera soldi, i poeti sono gli ultimi degli ultimi. Pensa per esempio a Bob Dylan, lui nelle sue canzoni ha una risposta a ogni cosa, ha un suo modo di pensare, ma è comunque una risposta».

Come nasce il suo iconico menù With a little help from my friends?
«Dopo l’annuncio del marzo 2020, anticipo ai miei ragazzi che per per alcuni mesi non avremmo più riaperto. Quindi abbiamo iniziato a raccontarci chi eravamo e da dove venivamo. Io domandavo chi fossero Mirella Cantarelli, Nino Bergese, ma mi stupii: loro non li conoscevano. Per me era impensabile che quei ragazzi che volevano lavorare in un tre stelle Michelin non conoscessero i protagonisti della cucina contemporanea. Ma cosa vuol dire “essere contemporanei”? Conosco tutto e mi dimentico di tutto»”.

E quindi come ha fatto a “far conoscere tutto e far dimenticare tutto” ai tuoi ragazzi?
«Ho preso un libro e ho messo dentro tutte le ricette che mi sono fatto mandare dai cuochi e dai loro figli. Loro hanno letto, letto e ancora letto e poi chiuso il libro. A quel punto la memoria filtra ciò che hai letto e da lì si può iniziare a creare. Non quelle ricette ovviamente, ma piatti reinterpretati attraverso la biodiversità culturale di ognuno dei miei ragazzi. Quindi abbiamo riaperto l’Osteria Francescana con With a little help from my friends, il nome della seconda traccia dell’album Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles. I “friends” erano i cuochi di un tempo e i cuochi attuali. Così insegni cultura, a pensare e a creare. Senza il lockdown però non sarebbe mai stato possibile. Il tema è il tempo».

In quanti si fanno ancora muovere dai sogni?
«La quotidianità è una brutta bestia, i problemi, le ossessioni, il corro di qua e di là ti portano fuori dal tuo centro, ti riempiono di problemi e ti comprimono il tempo che non riesci più a gestire. Se sei chef e patron, hai un’infinità di cose da affrontare. Quindi la creatività e il sogno diventano qualcosa di annacquato. Ora creiamo un nuovo piatto, ma solo dopo aver fatto tutto. Diciamo che la gestione ti riempie il tempo».

Massimo Bottura
Massimo Bottura

Lei, però, ha una bella brigata.
«Esatto. La mia fortuna è che ho fatto un passo fuori dalla cucina e ho lasciato la brigata continuare nell’espressione creando delle cucine satelliti dove si sviluppassero cose. Per esempio la Patata che vuol diventare tartufo diventa un pane è stata creata in panetteria. Viene preparato, bollito, poi tostato, ma fatto con una farina di patate disidratata dopo essere stato cotto con un succo di tartufo e nocciola. Perché lo facciamo? Perché il tartufo è terra e la terra sa com’è la patata e noi dovevamo trovare mineralità terrosa».

Tutto ruota sempre intorno alla creatività.
«E la creatività poggia sempre sul passato perché Picasso non avrebbe mai potuto fare quello che ha fatto senza gli impressionisti e gli impressionisti non sarebbero potuti esistere se non ci fosse stata l’ispirazione al trompe-l’œil. Sono stato invitato a parlare ai francescani ad Assisi. Entro nella Basilica e c’è questo dipinto meraviglioso in cui è ritratta l’ultima cena e per la prima volta ci sono raffigurati i lavapiatti. In un’opera del 1200! Gli ultimi personaggi dell’ultima cena. Straordinario!»

Durante Expo 2015 ha aperto il Refettorio a Milano. Oggi cosa creerebbe in questa città?
«Io la vedo da modenese che arriva a Milano due tre volte al mese. La percepisco viva, ha un respiro internazionale, ha ripreso in mano la moda, forse ora è più importante qui che a Parigi. Il design è in primo piano, ci sono due squadre di calcio, una di pallacanestro. Milano è al meglio in tanti settori. Forse voi milanesi non lo vedete, perché dovete gestire la quotidianità. L’altro giorno ero con il sindaco Sala, entrambi amiamo New York e l’abbiamo vista in difficoltà. Se vedete Milano in difficoltà, dovreste andare a New York. Penso sia un problema delle grandi città: accumulando sempre più gente, la situazione diventa invivibile, insostenibile. Io le vivo, le ho vissute… Ma a Milano arrivo e vedo sempre una realtà in grande spolvero».

Per come la vede lei, dunque, oggi cosa creerebbe?
«Forse una Casa Maria Luigia urbana, una cosa pazzesca dove ogni milanese si possa sentire ancora più milanese, ma sempre rispecchiando il posto in cui sei».

Massimo Bottura show al decimo IF!

Si è appena conclusa al Teatro Franco Parenti la decima edizione di IF! Festival della Creatività (italiansfestival.it), una manifestazione dal taglio internazionale che dal 2014 promuove il valore della creatività come elemento centrale per la comunicazione. A organizzarlo e promuoverlo sono ADCI – Art Directors Club Italiano e UNA – Aziende della Comunicazione Unite, insieme al main partner YouTube. Il tema scelto per questa decima edizione è stato il Rock ‘n Roll, un chiaro invito a rompere gli schemi, a non aver paura di sbagliare perché spesso è proprio dall’errore che nascono le idee migliori.

Massimo Bottura, dal Refettorio Ambrosiano al progetto Food for Soul

Durante Expo 2015, Massimo Bottura crea il Refettorio Ambrosiano, al fine di affrontare i problemi della fame e dello spreco alimentare. Dalla nascita del progetto, più di sessanta chef da tutto il mondo si sono avvicendati nella cucina del Refettorio per preparare pasti nutrienti e salutari destinati ai bisognosi. Nel 2016 Massimo Bottura e sua moglie Lara Gilmore fondano l’associazione non profit Food for Soul, da cui nascono in seguito progetti gemelli in molte città al mondo, come Rio de Janeiro, Londra, Parigi, Lima, New York, Sidney, Ginevra e molte altre.

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