L’Italia torna al 1994: «Aspettatevi l’imprevedibile»

1994
1994

Che i protagonisti principali, sulla carta, siano la triade Accorsi-Leone-Caprino è un dato di fatto ma è inutile nascondere che, nell’incontro tra fiction e realtà, storia e racconto televisivo, il centro della trilogia che culmina con 1994 – da domani ogni venerdì alle 21.15 su Sky Atlantic e in simulcast su Sky Cinema Uno – sia Silvio Berlusconi, fonte d’ispirazione massima per Leonardo Notte (Accorsi, appunto).

 

Il 1994, d’altronde, è uno degli anni cruciali nella storia dell’ex premier: la rapidissima discesa politica e la vittoria delle prime elezioni, la nascita e il fallimento del primo governo da presidente del Consiglio, l’accoppiata campionato-Champions League da presidente del Milan. Tanto, tutto, esattamente venticinque anni fa. In 1994, Berlusconi è interpretato dall’attore Paolo Pierobon.

Paolo Pierobon
Paolo Pierobon

«Che lo spettacolo abbia inizio», recita il claim della serie. Cosa si aspetta e cosa dobbiamo aspettarci dalla serie che più delle altre due la vedrà protagonista?
«Devo essere sincero. Solo una cosa fondamentale mi auguro fortemente: che la serie venga vista da tanta gente, da chi quegli anni li ha vissuti attivamente o meno, ma anche da chi non era ancora nato o non era sufficientemente grande per farsi un’idea».

Che anno è stato il 1994 per Paolo Pierobon, da due anni diplomato alla Paolo Grassi di Milano?
«Lo ricordo come un anno di grande rottura con la vita di prima. Il 1994 ha cambiato la storia di molti italiani, compresa la mia. In quel periodo cominciavo un viaggio lungo ed infinito: tale considero il lavoro dell’attore».

Teatro, cinema, fiction e non solo. Domanda per intenditori: è più immortale il “suo” Berlusconi di 1994 o il De Silva di Squadra antimafia?
«Difficile dirlo, sono due personaggi per certi versi antitetici. Ma mi sa che qui alla fine non muore e non morirà nessuno dei due (ride, ndr)».

È stato più difficile interpretare il Berlusconi “politico” o il “performer”?
«La differenza è sottile, credo siano due attitudini che in un personaggio come Berlusconi si nutrono assolutamente a vicenda. Il politico è animato dal performer, ma il performer ha sempre un aspetto strategico, non è mai fine a se stesso. E quindi è anche politico».

Pensa che il Cavaliere l’abbia apprezzata più di Servillo?
«Non posso sapere quello che pensa Silvio Berlusconi, ma Loro è un film per il cinema ambientato in un epoca molto più recente di 1994. Stiamo parlando di due Berlusconi molto diversi. E comunque Toni Servillo ha fatto un lavoro magnifico».

Che cosa ha apprezzato di più, ammesso che abbia apprezzato qualcosa, del “primo” Berlusconi?
«L’energia».

Che cosa, invece, ancora oggi boccia di quel personaggio?
«Vivo un momento di grande caos personale, di genere ideologico e politico, nutro molta diffidenza anche verso i miei antichi pensieri e quindi non sento di avere l’autorità per bocciare nessuno».

Ha mai avuto la sensazione che l’Italia di oggi rimpianga quegli anni?
«In questo periodo mi riesce davvero difficile capire cosa possa pensare l’Italia di oggi. Siamo un Paese a tratti indecifrabile».

La post-verità ha riabilitato qualche personaggio della serie?
«No, perché è una serie fondamentalmente amorale».

Accorsi, Leone, Caprino, lei: da chi dovremo maggiormente aspettarci l’imprevedibile?
«Risponderò nel modo più banale, ma non per questo più scontato: aspettatevi l’imprevedibile da tutti e quattro».

Crede che la Milano del 1994, non più “da bere”, possa essere ancora d’ispirazione per chi vuole sfondare in politica?
«La Milano “da bere” è proseguita anche dopo, soprattutto la parte “da bere”. Ma in politica il mojito pare abbia smesso di andare di moda quest’estate».

Venticinque anni dopo, che cos’ha perso Milano? E in che cosa crede sia meglio la città oggi?
«Dall’occasione avuta con l’Expo, Milano ha schiacciato l’acceleratore e non si è praticamente più fermata. Mi sento di dire che funziona tutto: è una città europea, efficace, spietata. Una realtà che non può rimpiangere la Milano “da bere”, anche se mi rendo conto che dal punto di vista artistico la scena di venticinque anni fa era molto più vivace ed anarchica. Più libera, insomma».

LA SERIE

Nel 1994 l’Italia cambia per sempre: è l’anno della restaurazione. Lo sa bene Leonardo Notte (Stefano Accorsi): ha capito che conquistare il potere è difficile, ma mantenerlo è davvero una missione impossibile. Così come sembra impossibile per Pietro Bosco (Guido Caprino) riuscire a cambiare: anche ora che ha un ufficio al Viminale, non riesce ad abbandonare i suoi vecchi difetti, né riesce a dimenticare l’unica donna che ha davvero amato.

Veronica Castello (Miriam Leone) deve infatti decidere chi sarà il suo compagno di vita, ma nel frattempo capisce che non vuole più essere solo la donna di uomini potenti e inizia così a giocare in prima persona la partita per il potere, diventando una parlamentare. Ritroveremo anche il PM di Mani Pulite Antonio Di Pietro (Antonio Gerardi) che continua la sua battaglia, Silvio Berlusconi interpretato da Paolo Pierobon e Dario Scaglia (Giovanni Ludeno).

Con loro anche Maurizio Lombardi, già visto in 1992 e 1993 nel ruolo di Paolo Pellegrini, uomo di Berlusconi e neo onorevole, che vive in adorazione del Cavaliere. 1994 è una serie Sky Original prodotta da Wildside, parte di Fremantle, diretta da Giuseppe Gagliardi e da Claudio Noce, creata da Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo. L’idea del progetto è di Stefano Accorsi, che partecipa allo sviluppo creativo della serie. Beta Film è il distributore internazionale.

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MILANO, 1994

«Un cambio epocale»
Marco Formentini era alla guida della città tra Mani Pulite e l’avvento di Berlusconi

Alberto Rizzardi

Marco Formentini ai tempi del mandato da sindaco di Milano
Marco Formentini, terzo da sinistra, insieme a Massimo Cacciari, Carlo Maria Martini e Gianfranco Rutelli

Primo e finora unico sindaco leghista di Milano, Marco Formentini guidò la città dopo il terremoto di Mani Pulite fino alla riscossa di Silvio Berlusconi.

Quale ricorda associa al 1994?
«Il cambiamento fondamentale della scena politica italiana, con la caduta della Prima Repubblica e l’avvento dell’era Berlusconi».

Che Milano si trovò a guidare?
«All’epoca Milano era conscia dei propri valori, ma non molto considerata nel Paese, complice una politica romanocentrica dominante: è proprio in questo periodo che al nord, con epicentro e riferimento Milano, si affacciarono i primi movimenti federalisti. Ricordo che il nostro motto era: pensiamo all’avvenire».

In che modo?
«Le fondamenta del piano di sviluppo della città, di cui oggi vediamo gli effetti più belli con CityLife, furono gettate in quel periodo».

Ci fu un momento più difficile di altri che si trovò ad affrontare da primo cittadino?
«Non ricordo un momento particolare: il 1994 è stato un anno complesso nella sua interezza e a volte, proprio per la sua intensità, si finisce per confonderlo anche un po’ con il 1993. L’avvento prima e la caduta poi del governo Berlusconi, con il famoso “ribaltone”, contribuirono a rendere instabile il quadro politico, ma Milano non perse i suoi valori e i tanti fermenti».

Non mancarono neppure le gioie, con le due squadre di calcio sul tetto d’Europa, giocando in quel Meazza di San Siro, il cui futuro è a rischio. Da che parte sta?
«Credo sia giusto guardare al futuro e a Milano potrebbe esserci il primo sforzo per fare uno stadio del Comune, a disposizione di entrambe le squadre cittadine. Occorre, tuttavia, valutare bene tutti gli elementi e fare le cose per bene».

Già allora si parlava, invece, di riaprire i Navigli e lei lo mise nel suo programma elettorale: è ancora dello stesso parere?
«Una riapertura completa è impensabile e sarebbe come andare indietro, più che guardare avanti. Consiglierei di pensare, invece, ad una riapertura parziale di tratti brevi per la navigazione e segmenti più lunghi per le passeggiate. Un’operazione del genere sarebbe, a mio avviso, positiva e valorizzerebbe i tanti punti di rara bellezza e grande valore storico».


MILAN, 1994

«Vincere era la normalità»
Fabio Capello nel 1994 vinse scudetto, Champions e Supercoppa Europea

Il 1994 di Fabio Capello è stato senza dubbio l’anno calcisticamente migliore della sua carriera: scudetto, Champions League e Supercoppa europea.

Fabio Capello insieme a Paolo Maldini, Dejan Savicevic e Daniele Massaro
Fabio Capello insieme a Paolo Maldini, Dejan Savicevic e Daniele Massaro

Fu il top?
«Fu un anno indubbiamente molto positivo, con tanti successi e bellissimi ricordi».

Primo tra tutti la Coppa dei campioni vinta 4-0 contro il Barcellona di Cruyff: è stato il punto più alto della sua carriera da allenatore?
«Direi di sì. Quella di Atene fu una partita molto difficile e allo stesso tempo facile da preparare: tutti davano per favoriti i catalani, che ci snobbarono e arrivarono in Grecia convinti di aver già vinto».

Perché andò diversamente?
«Avemmo l’umiltà e la capacità di capire cosa dovessimo fare per vincere e tutto ciò che avevamo preparato lo facemmo in campo in maniera perfetta».

Si ricorda il rientro con la coppa a Milano?
«Il Milan era troppo abituato a vincere: ci saranno state centocinquanta persone in aeroporto, non di più. Siamo arrivati, siamo scesi con la Coppa, abbiamo fatto qualche foto e poi tutti a casa. Fa sorridere e sembra incredibile, ma andò così».

Quell’anno vinceste anche il terzo scudetto consecutivo: ci fu un momento in cui, in quel 1994, capì che sarebbe stato un anno destinato a passare alla storia?
«Allenando il Milan, tutti gli anni si pensava di fare cose importanti: non si poteva pensare ad annate di transizione e a non essere protagonisti in tutte le competizioni, non dimenticando che in campionato a giocarsela non erano solo una o due squadre, ma le famose “sette sorelle”, ovvero Milan, Inter, Juventus, Parma, Lazio, Fiorentina e Roma. C’era grande competizione e vincere lo scudetto era molto, molto difficile».

E come fu l’altro 1994, fuori dal rettangolo verde? Che aria si respirava?
«Un’aria sicuramente difficile e pesante: direi che probabilmente uno degli aspetti positivi di quel periodo furono proprio le squadre di calcio, con Milan e Inter, che quell’anno vinse la Coppa Uefa, protagoniste in Europa e nel mondo, a differenza di oggi». AR


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