L’era del reso gratuito sembra ormai agli sgoccioli: sono tanti i grandi marchi che hanno deciso di introdurre una commissione per la restituzione degli acquisti. In Gran Bretagna, da qualche mese, il gruppo spagnolo Inditex, a cui fa capo anche Zara, chiede un contributo fisso, pari a quasi 2 sterline, per il reso presso i punti di raccolta o a domicilio. Una politica intrapresa anche dal colosso giapponese Uniqlo e dai britannici Asos. Decisioni che avranno ripercussioni anche nei negozi milanesi.
Reso gratuito, i motivi della decisione
Dietro questa scelta ovviamente ci sono motivazioni economiche, visto che i resi comportano per le aziende un dispendio di tempo e denaro. Contando sul free return, molti consumatori acquistano più articolo di taglia e di colore dello stesso capo, in modo da provarli e poi restituirli gratuitamente. Altri consumatori comprano più abiti sapendo già che li restituiranno. Il motivo? Indossarli una volta per fare giusto una foto da postare sui social network.
L’impatto ambientale
I resi hanno anche un grande impatto ambientale, poiché spesso i vestiti restituiti non vengono rimessi in vendita ma buttati perché per le aziende risulta economicamente più conveniente. Un incredibile spreco e un notevole incremento delle emissioni di anidride carbonica prodotte dalla combustione dei rifiuti. Anche quando non finiscono in discarica, gli abiti resi hanno comunque un impatto sull’ambiente, considerando le spedizioni extra e gli imballaggi.
Come cambiano i consumi?
Abolire il reso gratuito modificherà i comportamenti di acquisto dei consumatori, costretti a diventare più oculati nelle loro scelte. Addio quindi allo shopping impulsivo e senza freni, con una maggiore attenzione alle spese e di riflesso anche all’impatto ambientale.