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29. 04. 2024 02:56

Bookcity 2023, intervista allo scrittore milanese Marco Balzano: «Milano significa possibilità»

Balzano ha tanto da dire della sua città : «Convivono due anime: i bar dove mi chiamano per nome e i posti dove divento un piacevolissimo signor nessuno. Ma attenzione all’invadenza tecnologica»

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Marco Balzano, scrittore milanese, vincitore del premio Campiello 2015, finalista allo Strega 2018 e vincitore del Premio Bagutta 2019 sarà protagonista dell’incontro del 18 novembre alle 18.30 alla Società Umanitaria intitolato “La nostra Milano”.

Bookcity 2023, parla Marco Balzano

Milano è un fil rouge spesso presente nei tuoi romanzi. Cos’è per te, come fonte di ispirazione?
«Milano per me rappresenta una possibilità. Credo che nella storia d’Italia abbia sempre rappresentato, meglio di ogni altra città, una possibilità per chi ci arriva: lavorativa, di conoscenza di sé, di misurazione con gli altri e di affaccio su un’immagine della realtà fortemente radicata nel presente. Milano ti restituisce il polso di quello che accade adesso e siccome uno scrittore ha la necessità assoluta di parlare sempre del presente, anche per questo io non saprei vivere lontano da Milano».

Cos’è Milano per una manifestazione come Bookcity?
«È un grande palcoscenico diffuso, che funziona meglio quanto più colloca gli artisti che vi partecipano in una maniera sorprendente, che vuol dire far vivere la città tutta, fra periferia e centro. Io penso che Bookcity ci stia lavorando e che abbia raggiunto obiettivi importanti, ma la complessità dell’estensione di Milano lascia margini di miglioramento».

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Un altro incontro di Bookcity è “Bar stories. Bar e letteratura”. C’è ancora spazio per soffermarsi a leggere un libro?
«Assolutamente sì. Io credo che sia una città molto interessante, perché ha degli angoli di quartiere dove io entro in quel bar e sanno come mi chiamo e che caffè voglio. Ma se giro l’angolo, divento un piacevolissimo signor nessuno. Milano non è spersonalizzante come dicono, la vera questione è che o noi ci educhiamo a fare cose che prima erano più scontate – a scuola imparare a memoria due versi di una poesia o in un bar silenzioso leggere un libro – o questa invadenza tecnologica distrugge tutto».

Che significato attribuisci alla definizione “Milano da bere”?
«È un’espressione logora, uno slogan che ha fatto il suo tempo. Potremmo ormai cambiare il verbo in “Milano da visitare”. Vedere i turisti in città è bello. Il problema è come verrà incanalato e vissuto questo turismo, se vorremo renderlo meno d’assalto. O se ne svuoterà l’anima».

Qual è la Milano di cui non hai ancora scritto?
«Nel mio prossimo romanzo, che uscirà a fine 2024, non ci sarà Milano. Però in una storia che sto immaginando da tempo Milano sarà assolutamente centrale e sarà notturna, dove le cose si vedono meno o in modo alterato. C’è un’umanità lavorativa nella notte di Milano, un’umanità che consuma e popola una città non ancora così indagata».

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