Centri sociali a Milano: tra illegalità e cultura, quale futuro?

Dopo il caso Brancaleone, torniamo a parlare di centri sociali in città e di come l’illegale diventi occasione d’incontro e cultura. Fino al prossimo sgombero

centri sociali a milano
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Un nuovo sgombero per Milano. Ultimo a cadere nel mirino delle forze dell’ordine, l’edificio di via Alfieri – quartiere Bovisa – da qualche anno sede del centro sociale Brancaleone.

 

Dopo quattro giorni di resistenza, anche gli ultimi due anarchici asserragliati sul tetto della struttura hanno sventolato bandiera bianca per consegnarsi alla polizia.

Centri sociali a Milano: sicurezza

La tematica degli sgomberi sembra essere tornata prepotentemente di attualità in questo inizio di 2020. Mentre andava in scena l’operazione di via Alfieri, il prefetto Saccone si apprestava ad annunciare la necessità di nuovi interventi anche nella zona delle palazzine occupate di via Gola, dove durante la notte di Capodanno una squadra di vigili del fuoco occorsa sul posto in seguito ad un incendio è stata aggredita da un gruppo di residenti.

Anche in questo caso l’indiziato numero uno è nuovamente un centro sociale, per la precisione Cuore In Gola. «A Milano sono ancora almeno 22 gli edifici occupati da anarchici e no global», sottolinea l’assessore regionale alla Sicurezza Riccardo De Corato. Il grande leitmotiv del tema sicurezza si cela dietro le nuove iniziative di sgombero, ma è ben noto quanto l’argomento assuma delle forti tinte politiche. Non a caso l’opposizione ha diverso volte imbeccato il sindaco Sala definendolo troppo connivente nei confronti delle richieste dei centri sociali.

Semplici abusivi?

Superando la patina politica, è innegabile cogliere anche il ruolo sociale assunto nel corso dei decenni dai centri. L’occupazione è indubbiamente una pratica illegale, ma limitarsi a demonizzarla non aiuta a comprendere le dinamiche alle origini di certe azioni. Per quanto siano abusivi, i centri sociali sono vivida espressione di una sottocultura.

Un sociologo utilizzerebbe questo tipo di definizione per indicare un gruppo di individui figlio di una cultura dominante che non si rispecchia più nei suoi valori e nei suoi rapporti di potere. E che perciò cerca di sperimentare nuove forme di socialità. Racchiuderle integralmente nel concetto d’illegalità significherebbe assumere un punto di vista parziale.

Centri sociali a Milano: storie

I centri sociali a Milano si sono radicati a partire dagli anni Settanta e, nonostante la mappa delle presenze sia in continuo cambiamento, sono sopravvissuti fino ai giorni nostri. Uno dei primi fu il Leoncavallo costituito nel 1975. I primi occupanti venivano dall’ondata del 1968 caratterizzata da quei giovani ribelli che sognavano la fantasia al potere. Non si limitarono ad occupare degli spazi, ma cercarono di renderli fruibili per una comunità intera.

Le prime iniziative si concentrarono sulla creazione di un asilo nido, di un consultorio, di un doposcuola per i ragazzi: tutti servizi di cui all’epoca il quartiere era sprovvisto e di cui aveva tremendamente bisogno. Oggi i centri sociali milanesi, per quanto il loro modus operandi possa essere criticabile, restano attori sociali capaci di integrarsi nel tessuto urbano grazie alla loro proposta culturale e pure ludica.

Spesso ,all’interno di queste strutture, l’espressione della cultura underground prende forma attraverso rassegne ed eventi musicali in grado di coinvolgere e aggregare quelle frange della popolazione cittadina che richiedono spazi di socializzazione alternativi alle forme di interazione mainstream.

Figli del disagio.

È inutile nascondersi dietro un dito: il centro sociale agisce fuori dalla legge. L’articolo 663 del Codice penale definisce esplicitamente come reato l’occupazione di edifici pubblici o privati. Ma c’è anche dell’altro: queste realtà rappresentano una soggettività che si inserisce in un vuoto di rappresentanza.

Il disagio del non sentirsi rappresentati si tramuta in azione per cercare forme di esistenza o sopravvivenza non convenzionali. Il volantino scritto dagli ex occupanti del Brancaleone recitava così: «Noi siamo il degrado che avanza. Noi siamo i barbari calati per saccheggiare la città vetrina e gozzovigliare sulle sue rovine». Parole forti che lasciano il tempo che trovano, ma non ci si può esimere dal notare la loro carica di rabbia. Milano è una città vetrina sempre più internazionale ed in continua espansione, ma spesso crescere è anche sinonimo di squilibrio: la forbice tra ricchi e poveri si amplia, la precarietà occupazionale resta una costante.

Piaccia o meno, giusto o sbagliato, il centro sociale incarna una risposta a tutto questo. A tutto quello che manca, anche a Milano.

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