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04. 05. 2024 20:27

La Torre Velasca è in vendita. De Caro: «Case troppo care e non sempre di pregio architettonico»

Uno dei simboli più iconici del brutalismo milanese, è di nuovo sotto la lente d’ingrandimento per un passaggio di proprietà che, sì, promette di rivitalizzare una parte del centro città spesso bistrattato, ma è lecito chiedersi se lo faccia davvero a beneficio del tessuto cittadino. Presente e futuro del mercato del lusso: tanto grande, ma con dinamiche perlopiù ignote

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Il mercato del lusso, si sa, non conosce crisi. La regola vale anche per quello immobiliare e vale ancora di più per quello milanese dove si riversa circa il 40% degli investimenti internazionali del nostro Paese. Un fiume di soldi che si può percepire girando per la città e osservando gli enormi cantieri sparsi dappertutto, oppure è impercettibile perché si tratta di passaggi di proprietà di edifici, magari di una certa età. Un caso esemplare riguarda la Torre Velasca, grattacielo famoso nel mondo realizzato tra il 1955 e il 1957 su progetto dello Studio BBPR, uno degli esempi italiani di architettura post-razionalista brutalista più noti, nonché simbolici di Milano.

Dopo averlo acquistato quattro anni fa, Hines lo ha ricollocato sul mercato, anche se Mario Abbadessa, senior managing director & country head di Hines in Italia, glissa sull’argomento: «Stiamo eseguendo lavori che saranno terminati per gennaio-febbraio. Vendere? Sono cose che si decidono quando i progetti sono completati». A inizio 2024 si prevede che anche la piazza sottostante, Juan Fernendez de Velasco, dalla quale l’edificio prende il nome, torni a disposizione dei cittadini completamente rinnovata. Ma perché un palazzo così caratteristico, un monumento che svetta nello skyline della città da quasi 70 anni dovrebbe essere messo in vendita?

Non si ferma. La Torre Velasca è solo un esempio, seppure clamoroso, delle caratteristiche che ha assunto questo mercato particolare. Secondo un report di Immobiliare.it Insights gli annunci totali di fine 2022 erano vicini a quota 4mila, il +24% rispetto al periodo pre-Covid e il +15% rispetto al 2021. Ma non è tutto, l’annuncio di un immobile di lusso oggi rimane soltanto 3,5 mesi di media. Un dato in calo del 16% rispetto a un anno fa, di tre mesi inferiore a quello di inizio 2019. Anche il time on market, ossia l’età media di un annuncio oggi invenduto, si è costantemente ridotta: i 5,3 mesi odierni rappresentano un picco minimo, inferiore di quasi il 20% rispetto a un anno fa, mentre a inizio 2019 era di quasi 9 mesi.

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Per quanto riguarda il valore complessivo dell’offerta è di 6,06 miliardi di euro, mentre i 661.575 metri quadri di superficie complessiva registrati a fine 2022 sono solo il 5% in più rispetto allo stesso periodo del 2019. L’offerta è composta per il 99% da appartamenti, con le ville intorno all’1%.

Numeri da capogiro che assicurano vitalità e ricchezza alla città, ma sui quali occorre tenere in mente il monito lanciato lunedì scorso dall’arcivescovo Delpini in consiglio comunale: «L’invasione più temibile potrebbe essere quella di capitali anonimi, di quantità di denaro che vengono da chi sa dove e da chi sa che storia ingiusta».

Torre Velasca, l’architetto Maurizio De Caro: «Milano deve decidere cosa vuole essere, diventare come Londra o riscoprire la propria storia»

L’esplosione del mercato immobiliare del lusso non entusiasma Maurizio De Caro. Per il critico dell’architettura siamo di fronte a un fenomeno che contribuisce a rendere sempre più ostico il mercato e favorire l’espulsione dei ceti deboli dalla città.

I dati di immobiliare.it segnalano dati superiori al 24% rispetto al periodo pre covid: è sorpreso?
«No, perché Milano è diventata attrattiva, come Londra, si viene qui perché questa è una città in cui le cose accadono».

Dove avvengono le transazioni milionarie?
«In contesti di altissimo profilo».

In quartieri di maggior qualità architettonica?
«Sì, ma c’è un aspetto che va chiarito: non sempre l’elevato livello qualitativo di un quartiere corrisponde con quello architettonico».

Cosa vuol dire?
«Veda, pochi sanno che in via Montenapoleone c’è una casa di ringhiera. Il punto è che si compra per avere la casa in una determinata zona, a volte a prescindere dal suo valore estetico».

Maurizio De Caro
Maurizio De Caro

Quindi si paga tanto solo per avere l’abitazione nelle zone in?
«E’ così. Milano è una città piccola, solo 180 chilometri quadrati, quante possono essere davvero le case di pregio? La crescita dei valori fa sì che tutta una zona abbia una ricaduta positiva, si compra in via dei Giardini spendendo tantissimo a prescindere dal valore architettonico dell’edificio».

Il centro resta sempre la zona più gettonata?
«Sono discorsi che non reggono più, il centro si è dilatato, basti pensare a Porta Roma che una volta era un quartiere popolare e oggi ha raggiunto prezzi molto alti».

Il fatto che arrivino molti soldi è un bene per la città.
«Non è negativo in sé, il problema è che porta ad allontanare il ceto medio e a fare di Milano una città per ricchi».

Le case belle comunque ci sono.
«Certo che ci sono, perché qui hanno lavorato grandi architetti. Solo facendo riferimento a Sant’Ambrogio, dove ho lo studio, ci sono opere di gente come Caccia Dominioni, Asnago e Vender, oppure in via Carducci ho visto case stupende. Il problema è un altro, prevale l’ubicazione sull’architettura, è una trappola per chi acquista».

Magari chi acquista non si pone troppi problemi estetici.
«Questa è una città delle banche, della finanza, le grandi acquisizioni le fanno loro in quando dispongono di notevoli liquidità».

Anche la Torre Velasca è in vendita.
«L’ho saputo, non so se tutta o solo in parte».

Cosa rappresenta per la città?
«E’ un’icona assoluta, assieme al Pirellone è un simbolo del modernismo lombardo».

Perché si decide di vendere un palazzo come questo acquistato pochi anni fa?
«E’ un’operazione semplice: si acquista un immobile, lo si ristruttura e poi si vende quando i valori sono cresciuti».

E’ possibile la stessa cosa per il Pirellone?
«Non credo che la Regione lo venderà, certo qualora lo facesse i guadagni sarebbero enormi».

Chi può comprare la Torre Velasca?
«Un fondo tipo Blackstone che fa un’operazione simile a quelle appena descritta».

Mi sembra pessimista, cosa si può fare?
«Milano deve decidere cosa vuole essere: diventare come Londra o riscoprire la propria storia, quella del dopo guerra in cui si sviluppò una grande edilizia sociale per accogliere gli immigrati del meridione». (GS)

Torre Velasca, la storia

Realizzata dallo studio BBPR e alta 106 metri, la torre (nel 2020 eletta dalla piattaforma Musement monumento brutalista più instagrammato al mondo) ha sempre diviso critici e appassionati. Nasce in contrasto con l’idea corrente di torri ripetibili mentre la città perdeva i suoi campanili, le sue chiese, i suoi edifici pubblici dopo la guerra. Si immaginava una struttura in acciaio, inizialmente, ma poi si è preferita una soluzione in cemento armato. Possenti costoloni rastremati si allargano sulle facciate in puntoni di raccordo, mentre i costanti richiami ai profili di torre medievali sono un omaggio a Milano. (YB)

Torre Velasca
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In passato ha definito la Velasca il paradigma della civiltà dell’orrore. Ha cambiato idea?
«Si tratta di un’opera importante, giustamente vincolata, realizzata da un importante gruppo come BBPR. Gli stessi che si erano occupati dell’allestimento dei musei al Castello Sforzesco e che avevano disegnato anche quello della Pietà Rondanini. Allestimento poi rovinato da Michele De Lucchi, qualche anno fa».

Come definirebbe in due parole il brutalismo?
«Una corrente, simbolo di contrazione e crisi, che ha occupato una parte di storia, accompagnando la fase di passaggio tra la civiltà agricola e quella industriale. Due momenti che hanno avuto una crasi proprio nel brutalismo».

Costruire in stile, non in stile. Costruire bene, costruire male. Cosa ne pensa?
«Tutto è semplicemente legato alla personalità dell’architetto: quelli dotati possono fare scelte e adottare soluzioni più ardite, gli altri no».

*Da Mi-Tomorrow del 7 aprile 2020

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