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08. 05. 2024 18:07

Ospedale Niguarda, 22 anni fa il primo trapianto di fegato tra adulti con donatore vivo

Due sale operatorie e 20 esperti: il 16 marzo 2001 al famoso ospedale di Milano veniva eseguito il primo trapianto di una parte di fegato tra vivi

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Era il 16 marzo 2001 quando, all’Ospedale Niguarda di Milano, veniva eseguito su un uomo di 60 anni il trapianto di una parte di fegato di suo figlio. Quel giorno è passato alla storia: si è trattato infatti del primo trapianto in Italia tra adulti con il donatore in vita. L’autorizzazione straordinaria per questo tipo di intervento era arrivata appena il giorno precedente dall’allora Ministro della Sanità Umberto Veronesi e anche il giudice coinvolto aveva acconsentito.

Ospedale Niguarda, la storia del primo trapianto di fegato tra vivi

A donare una parte del fegato al padre sessantenne era stato il figlio di 32 anni. L’uomo era affetto da cirrosi e aspettava il trapianto dal giugno del 2000. A lavorare a questa particolare operazione che è passata alla storia sono stati circa 20 specialisti del settore.

In una sala operatoria vi era l’équipe di chirurgia dei trapianti addominali guidata dal professor Domenico Forti. In un’altra quella degli epatologi con il dottor Gianni Pinzello. Gli anestesisti rianimatori erano invece coordinati da Andrea De Gasperi dell’Ospedale Niguarda.

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Il primo trapianto di una parte di fegato con donatore vivo fu tutt’altro che semplice. Infatti questo tipo di operazione è molto complessa in quanto l’organo, anche quando prelevato da un cadavere, dura circa 10 ore.

ospedale niguarda

Ospedale Niguarda: le parole del professor De Carlis

Nei trapianti adulto-adulto (entrambi vivi), l’intervento è molto delicato e richiede delle conoscenze di chirurgia epatica molto approfondite, spiega il dottore Luciano De Carlis dell’Ospedale Niguarda di Milano. «Rispetto alla donazione per un bambino la parte di fegato da prelevare è molto più grossa e l’incisione chirurgica interessa una parte anatomica ad alta vascolarizzazione. Tutto questo espone a delle complicanze molto più severe per il donatore se il prelievo non è condotto con grande accuratezza».

De Carlis ricorda poi l’avvenimento di quel 16 marzo 20001. «Non c’era ancora un’autorizzazione formale per quel tipo di trapianto in Italia. Il figlio mi disse che lui e suo padre erano pronti ad andare in Germania per fare l’intervento. Allora il Ministero ci diede un’autorizzazione speciale. Non mi dimenticherò mai la telefonata con Umberto Veronesi, allora Ministro. Erano le 9 di sera. Ci chiese più informazioni sul caso che era arrivato sulla sua scrivania. E aggiunse: ve la sentite? Noi ci sentivamo sufficientemente preparati, così il giorno dopo era tutto pronto nelle due sale operatorie».

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