Reinhold Messner: «Lo sport climbing in città non è alpinismo»

Reinhold Messner
Reinhold Messner

Pochi articoli, nel giornalismo, hanno resistito così tanto al passare del tempo. Reinhold Messner, che di imprese ne ha compiute diverse, ha avuto il merito di scriverne uno nel 1968 dal titolo L’Assassinio dell’impossibile, ai quali Luca Calvi e Sandro Filippini si sono ispirati per raccogliere l’opinione di 42 grandi alpinisti su come è cambiata la disciplina da allora. Il libro ha mantenuto lo stesso nome di quello scritto, al contrario la disciplina ha conosciuto enormi cambiamenti.

Oggi una possibile “ramificazione” è l’arrampicata sportiva, che ha portato le scalate in zone geograficamente sfavorite in fatto di montagne. Come Milano, dove per vedere le cime bisogna aspettare il Milano Montagna Festival, in programma fino al termine di questa settimana. Reinhold Messner è tra i partecipanti del Fuori Festival, gli eventi in città legati alla manifestazione di tre giorni organizzata a Base Milano. Porta, insieme ai curatori, il volume legato al suo storico articolo.

Messner, in cosa consisterebbe oggi L’Assassinio dell’impossibile?
«In molti pensieri che generalmente non sono cambiati, pur con diverse correzioni. L’alpinismo ha avuto un grande sviluppo, sono aumentate enormemente le difficoltà nell’arrampicata. Dall’essere un fatto soltanto alpino, che ha dato il nome all’alpinismo, si è diviso in tante discipline. La più seguita è lo sport climbing che però non ha nulla a che fare con l’alpinismo. L’indoor non c’era nel mio periodo, oggi il 90% di chi arrampica va indoor. È uno sport bellissimo, ma nulla a che fare con l’alpinismo».

Un peccato.
«Non dico questo. Anzi, è una fortuna, ed è la disciplina vincente perché è seguito in una palestra a clima neutrale. L’alpinismo rimarrà così una fetta molto sottile. Spero solo non scompaia».

Il Milano Montagna Festival porta in città una cultura che forse non è così diffusa.
«In realtà il Monte Rosa non è lontano… Nel Nord Italia la città della montagna è Lecco, che negli anni ’30 aveva un simbolo come Cassini, ma anche a Milano ci sono sempre stati alpinisti bravi».

Esulando dalla sua disciplina, si parla della possibilità di avere nel capoluogo lombardo i Giochi 2026.
«In realtà lo sci di pista è nato come disciplina dell’alpinismo tradizionale. Negli anni ’30 qualcuno si è accorto che poteva diventare uno sport e poi un motivo turistico, mettendo una funivia e facendo sicurezza a livello paesaggistico. E’ più o meno quel che è successo con lo sport climbing».

È diminuito anche l’interesse per l’alpinismo?
«Non del tutto perché comunque queste discipline vivono anche dell’alpinismo tradizionale. Spiego in che senso: chi organizza il turismo sulla pista dell’Everest la vende come fosse un’avventura alla Hillary o Messner, poi è esattamente il contrario».

Perché si fa fatica a trovare un nuovo Bonatti o Messner?
«I grandi alpinisti hanno il problema di esprimersi dopo la spedizione, non prima o durante. Se si torna da un 7.000 dopo aver fatto la parete più matta del mondo e due milanesi pagano 100.000 euro per salire sulla pista dell’Everest a 8.000 metri, state sicuri che farà notizia la seconda spedizione, perché hanno gli strumenti per dire che hanno fatto una grande salita quando magari non è così».

Andrebbe spiegato.
«È per quello che abbiamo scritto il libro».

Film, libri e sport negli ultimi giorni di festival

Ancora per due giorni sarà possibile partecipare a Base Milano, in via Bergognone, al Milano Montagna Festival. Come per gli anni scorsi, sarà possibile svolgere arrampicata sportiva e boulder a livello indoor (in una delle sale della struttura) oppure outdoor (nel cortile). Ci sarà anche un simulatore di sci alpino e tante mostre e incontri, oltre alle proiezioni dei film e alla presentazione di libri tutti a tema montagna. L’elenco completo delle iniziative è consultabile sul sito della quinta edizione della manifestazione, milanomontagna.it.