I cartappestati contro il coronavirus

Con i teatri chiusi, la performance di Zahr Teatër approda in metropolitana: «E’ stata una specie di provocazione, un attacco alla serietà. Non si sente più ridere»

La necessità di rispondere a una psicosi giudicata eccessiva e di dare un segnale di vita. Questo ha portato i cartappestati a uscire dalla loro sala prove e raggiungere la gente nella metropolitana di Milano. Una performance firmata Zahr Teatër che dal 2016 opera sul territorio cittadino con la sua scuola e la sua compagnia teatrale senza mai disdegnare qualche incursione urbana.

 

Il clima che ha avvolto la città in questi giorni ha spinto Mateo Cili, regista, pedagogo e direttore artistico di Zahr Teatër, a escogitare una nuova sortita per riflettere sulla psicosi creata dal coronavirus. «La nostra scuola lavora su moduli mensili – spiega il regista – e febbraio era dedicato alle maschere. Così il servo stupido, il nobile schizzinoso, l’uccellaccio, la vecchia strega, il mercante viscido e il burocrate triste sono scesi in metropolitana».

L’ordinanza però ha colpito anche voi
«Esatto, quindi abbiamo unito l’utile al dilettevole. Abbiamo pensato di approfittare di questo clima e andare noi dalla gente visto che i teatri sono chiusi. Gli attori hanno indossato le maschere e abbiamo chiamato il gruppo “i cartappestati” perché hanno un po’ l’espressione che ha la gente in questi giorni. Girare per la metropolitana è stata una specie di provocazione, un attacco alla serietà. Non si sente più ridere, né parlare, tutti sono silenziosi. Allora abbiamo provato ad usare l’arte del teatro per cambiare nel nostro piccolo la situazione».

Come hanno reagito le persone?
«All’inizio c’è stato stupore, qualcuno pensava non fosse il momento adatto per queste “pagliacciate”. La performance prevedeva che alcuni attori starnutissero e che gli altri si allontanassero immediatamente dagli appestati. Le persone hanno riso perché si riconoscevano in questo clima. Questa risata liberatoria ha fatto sì che molti si togliessero la maschera di serietà e tornassero a sorridere. Abbiamo strappato tanti sorrisi».

Che danni vi ha causato la chiusura forzata?
«Io avevo in programma due spettacoli. Uno venerdì e uno sabato, entrambi ovviamente sono saltati. Questo provoca un danno economico, perché per noi sono giornate di lavoro, ma anche di visibilità. Gli artisti ci rimettono, ma a nessuno interessa perché l’arte è sempre l’ultima ruota del carro. Non parlo solo per me, sono saltati migliaia di spettacoli a Milano. È importante sensibilizzare sul fatto che anche gli attori lavorano, sembra sia una colpa fare un mestiere che riesce anche a divertirti. I danni sono ingenti. Chiudere i teatri e tenere aperti altri luoghi di aggregazione è un controsenso».

Come si riparte?
«A leggere certi giornali sembrava che in Italia stessero per morire 60 milioni di persone. Mio padre dall’Albania mi ha telefonato, mi ha detto di fare la spesa e chiudermi in casa. Il problema è molto più limitato per questo fatico a comprendere una tale psicosi. Credo però che dalla crisi c’è sempre qualcosa che emerge. Sto notando un po’ più di gentilezza tra le persone, vedo empatia nei momenti di difficoltà. Nonostante stupidaggini tipo l’assalto ai supermercati. Si sta capendo che siamo tutti sulla stessa barca perché il mondo è di tutti».

Dal punto di vista artistico questo momento può insegnare qualcosa?
«Di sicuro ci ha spinto a cambiare il nostro spettacolo. Questo lavoro con le maschere doveva essere qualcosa di astratto che parlava di una popolazione mascherata. Ora, anche dopo l’esperienza in metropolitana, cambieremo la trama e racconteremo la storia di queste persone accartappestate che hanno paura di uscire e di socializzare perché qualcuno dall’alto dice loro di averne. Una persona però non avrà paura. Sarà interessante vedere come si comporterà questa persona coraggiosa in un contesto così ostico».

Quando debutterà?
«Non sappiamo ancora la data precisa perché questo blocco ha cambiato tutti i calendari. Se tutto va bene sarà tra il 21 e il 23 marzo alla Corte dei Miracoli di Milano».