La crisi dei camici bianchi: richiameremo i medici in pensione?

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Ci sono Regioni come il Veneto e il Molise (e da qualche giorno anche il Friuli Venezia Giulia) dove si sono inventati una delibera per richiamare al lavoro i medici in pensione. Oppure il Piemonte che utilizza camici bianchi in affitto, reclutati attraverso agenzie e cooperative con contratti a termine, anche solo di pochi giorni.

Sono solo alcuni casi che evidenziano come il problema della carenza di medici sia sempre più grave e urgente. Basti pensare che, secondo le stime della Ragioneria dello Stato, in Lombardia siamo sotto di 510 unità nella pediatria, 377 per la medicina interna e 315 per anestesia e rianimazione.

A Milano, ad esempio, ci sono circa 860 medici di base, con un’età media di 58,9 anni. Dai 65 possono andare in pensione anticipata con due mesi di preavviso, mentre a 70 devono andarci per forza. L’anno scorso è scattata la pensione per quindici di loro, quest’anno toccherà ad altri ventiquattro, il prossimo saluteranno in ventotto. E ancora: nel 2021 ci saranno 46 pensionamenti e dal 2023 al 2030 non ci saranno mai meno di cinquanta uscite sicure all’anno, con un picco di 69 nel 2026.

E le stime dell’Ats sono per difetto, visto che non è possibile prevedere le uscite per prepensionamento o altri motivi. La progressione riguarda anche i 1.300 pediatri di libera scelta lombardi: 12 pensionati nel 2019, 26 nel 2020, 24 nel 2021, 35 nel 2022, 40 nel 2023. Sono numeri che evidenziano l’emergenza, soprattutto se incrociati con quelli dei concorsi: l’ultima chiamata semestrale dell’Ats Metropolitana di Milano s’è chiusa con 35 dottori arruolati su 251 vacanti.

La Regione è da tempo impegnata per cercare soluzione, spesso riuscendo a moltiplicare i posti per i corsi triennale di formazione in Medicina generale e incrementando le borse di studio. Nei giorni scorsi sono stati approvati gli indirizzi organizzativi e didattici per la progettazione e l’attuazione del corso di formazione in Medicina Generale per il triennio 2019/2021, compreso il reclutamento dei coordinatori che dovranno avere caratteristiche specifiche ben definite.

Tra le novità c’è l’aumento del numero dei tirocinanti che passa da 136 a 388. Per la realizzazione dei corsi e per l’attivazione delle borse di studio necessarie, la Regione Lombardia mette a disposizione, nel triennio, 19 milioni di euro. Non solo. Per evitare disagi alla popolazione e l’interruzione di assistenza è prevista che, in caso di cessazione o pensionamento del medico, sempre che nell’ambito territoriale non vi siano già sufficienti posti disponibili, la garanzia nell’immediato di continuità dell’assistenza con la nomina di un medico sostituto temporaneo, in attesa del titolare.

Inoltre, in situazioni di particolare necessità e sempre in accordo con le Amministrazioni Comunali, scatterà la nomina di un medico sostituto temporaneo anche se all’interno dell’ambito vi sono già posti disponibili. La delibera prevede la rilevazione degli ambiti carenti in base al rapporto “ottimale” di un medico ogni 1.300 residenti, di età superiore ai 6 anni, e si pensa alla possibilità di indicazione dell’obbligatorietà dell’apertura di un ambulatorio da parte del nuovo medico in uno specifico Comune, qualora necessario. Infine c’è l’ampliamento del massimale di scelte da 1.500 a 1.800 pazienti, qualora nell’ambito territoriale vi siano pazienti senza assistenza sanitaria.

I NUMERI

510,
Il fabbisogno di pediatri

377,
La carenza di internisti

315,
Il fabbisogno per rianimazione e anestesia

860,
I medici di base a Milano

58,9,
L’età media dei medici di famiglia in città

19 milioni di euro,
Le risorse di Regione Lombardia per i corsi di formazione

Dove si inceppa il meccanismo
Pochi contratti e pagati sotto la media europea
L’unica strada possibile per mettere una pezza alla progressiva carenza di medici è quella di incrementare i contratti di formazione nelle scuole di specializzazione riconosciuti dal Ministero della Pubblica Istruzione e dell’Università, quelle – per intenderci – dove i laureati in medicina sono tenuti ad iscriversi per acquisire la specializzazione nell’arco di cinque anni. Il Ministero ne ha riconosciuti 1.040 a cui si sono aggiunte 55 borse di studio finanziate dalla Regione Lombardia.

Eppure per garantire il ricambio generazionale ne mancano un altro migliaio. Poi c’è l’aspetto economico: per garantire le specializzazioni le facoltà di Medicina ricevono per i primi due anni 1.652 euro al mese, 1.710 negli ultimi tre. In pratica, le nostre università formano medici che, nell’impossibilità di specializzarsi o per effetto dei vincoli alle assunzioni, trovano lavoro soprattutto all’estero. Al di là della necessaria revisione del numero chiuso, il Governo è chiamato a mettere mano alle borse di studio per gli specializzandi. PC

«Valuteremo la delibera del Veneto»
L’assessore lombardo Gallera: «Il problema è drammatico»
Anche la Lombardia potrebbe prendere presto in considerazione di richiamare in servizio i medici in pensione per mettere una ulteriore pezza alla grave carenza negli ospedali e nelle Ats. E’ lo stesso assessore al Welfare della Regione, Giulio Gallera, a non escluderlo.

Assessore, anche voi siete pronti ad assumere i medici pensionati?
«E’ qualcosa alla quale sta pensando soprattutto la Lega, come abbiamo visto in Veneto e in Friuli. Facciamo una premessa».

Quale?
«Siamo di fronte ad un problema drammatico e ci sono molte strade per approfondirlo e affrontarlo. Una di queste è senz’altro quella che riguarda i medici in pensione».

Quindi sarà possibile anche qui?
«Valuteremo volentieri quest’opzione dopo aver visionato i dettagli delle delibere delle altre Regioni».

Quali sono le altre strade?
«La via maestra è la nostra legge, condivisa col mondo universitario, per consentire agli specializzandi dopo tre anni di svolgere il quarto e quinto anno all’interno degli ospedali. E’ un modo per renderli progressivamente autonomi, svolgendo guardie e turni in corsia».

E’ questo il cuore del problema?
«In Italia ci sono diecimila medici laureati che non sono entrati nelle scuole di specialità. Da tempo le Regioni hanno chiesto al Governo di far sentire inserire subito queste nuove love negli ospedali di formazione, senza assumerli come dirigenti medici ma utilizzandoli in maniera graduale. Si tratta di un modo molto veloce per inserire subito diecimila professionisti nel mondo ospedaliero che soffrirà sempre di più considerando i pensionamenti e Quota 100».

Dove si è creato il buco?
«E’ un gigantesco problema creato dall’errata programmazione delle borse di studio e dalla spending review scellerata degli ultimi Governi. Sa che non troviamo nessuno che partecipa a certi concorsi?».

Perché?
«Perché spesso si preferisce attendere un posto nelle realtà più complesse. Faccio l’esempio di un pediatra che ambisce ad andare alla Mangiagalli, dove c’è una complessità di un certo livello, dove si lavora in equipe, dove la medicina d’urgenza ha molte casistiche».

Resta il problema economico…
«Ci sono meno borse di studio perché costano, ma sulla sanità e sulla formazione non si dovrebbe risparmiare. Poi ci troviamo di fronte a tanti casi di giovani che vanno all’estero o trovano lavoro nel privato».

La Regione può integrare?
Sì, ma fino ad un certo punto. Abbiamo integrato con 55 di borse di studio in più, pari a 6 milioni di euro di investimenti, sottratti al fondo sanitario. Per intenderci, abbiamo fatto volentieri questo sforzo, ma potevamo utilizzare quelle risorse per abbassare ulteriormente i ticket o per finanziare altri progetti di ricerca».

Segnali dal Governo?
«E’ cresciuta leggermente la quota delle borse di studio autorizzate: siamo a 6.200 a fronte di 8.537 richieste dalle Regioni. In Lombardia ne sono state finanziate 960, mentre ne avevamo richieste 1.600. Certo, aggiungeremo le nostre, ma è evidente che non potremo andare avanti con questo passo».

Previsioni per i prossimi anni?
Il Governo nella Legge di Stabilità ha previsto 900 borse all’anno per il triennio 2019/2021. E’ un inizio, vedremo i risultati che produrrà».

Allarme dall’Ordine dei Medici:
«Così il Servizio sanitario nazionale andrà in default»
Un fondo straordinario, per finanziare la formazione dei medici di famiglia e specialisti, per frenare la fuga dei medici dal settore pubblico, per colmare le disuguaglianze di salute. Altrimenti, «per il nostro Servizio sanitario nazionale (Ssn) sarà il default». A lanciare l’allarme e a chiedere alla politica misure risolutive e improcrastinabili è Filippo Anelli, Presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (Fnomceo) commentando la delibera della Regione Veneto che ha deciso di autorizzare i direttori generali delle Ulss ad assumere a tempo determinato medici in pensione, per garantire i livelli essenziali di assistenza. «Queste delibere non ci stupiscono – afferma Anelli -. Se non si interviene seriamente, l’utilizzo di medici in pensione credo rappresenti il preludio del default del nostro SSN».


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