Eleonora Giorgi: «Il bronzo per me stessa, il Giappone per un sogno»

eleonora giorgi
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Niente ha fermato Eleonora Giorgi: il caldo serale di Doha a 31 gradi – che con l’umidità all’80% ne faceva percepire più di 40 – e nemmeno la fatica o i crampi durante la gara.

 

Anche la sfortuna questa volta l’ha battuta, dopo che tra il 2015 e il 2018 aveva subito ben quattro squalifiche per le palette dei giudici nella 20 chilometri di marcia. È un bronzo straordinario quello conquistato da Eleonora Anna Giorgi nella 50 chilometri di marcia nel Mondiale (in 4 ore, 29 minuti e 13 secondi) da poco concluso nella capitale del Qatar. «Da tanti anni aspettavo una medaglia come questa – racconta la milanese in esclusiva a Mi-Tomorrow –: la dedico a me stessa per aver tenuto duro nelle difficoltà».

Giorgi, nonostante le dure condizioni di Doha, è “sopravvissuta” e ha ottenuto la prima importante gioia internazionale. Ha realizzato?
«Sono ancora felicissima per questo risultato. Ho rischiato di non farcela, ma ho usato testa, gambe e soprattutto il cuore, per superare i problemi di stomaco che mi hanno rallentato. Sapevo che era un’occasione unica da cogliere e non volevo lasciarmela scappare. È una gara difficile per tutti, nessuno è abituato a competere in queste condizioni».

Ha avuto due crisi, al 18º e 34º chilometro. Cosa l’ha fatta andare avanti?
«Alla primi crisi mi sono un attimo spaventata, lì ho pensato di non farcela: nella mia testa ho pensato di non avere più zuccheri e liquidi. Ma poco dopo mi sono sentita meglio e questo mi ha dato una carica in più a proseguire: così sono riuscita ad aumentare il ritmo gara. Io ci credo sempre, sono un’inguaribile ottimista e sono consapevole delle mie potenzialità. Le successive crisi, sapendo già cosa mi sarebbe aspettato, non mi hanno intimorito più di tanto. In più, al punto di rifornimento, i fisioterapisti e i medici sono stati grandissimi perché mi hanno sempre supportato».

Al Mondiale le gioie maggiori sono arrivate dai milanesi, come lei e Filippo Tortu (settimo nei 100 metri, ndr).
«Può essere un caso, ma credo che nell’atletica sia in atto un cambio generazionale. Alle rassegne giovanili i nostri ragazzi sono andati molto bene, sono loro il nostro futuro. In generale, comunque, l’atletica è molto difficile e competitiva: già arrivare in una finale mondiale o olimpica rappresenta un risultato importante. Il settimo posto di Filippo vale oro».

Tra meno di un anno, Tokyo 2020: qual è lo spirito?
«Saranno le mie terze Olimpiadi, dopo Londra e Rio. Spero pure che non siano le ultime. In Giappone vorrei fare la 50 chilometri: il consiglio federale della IAAF non ha ancora preso la decisione definitiva. Se non dovesse arrivare per tempo, farei comunque la 20 chilometri con lo stesso spirito di sempre».

Cosa pensa di Milano-Cortina 2026?
«Sarà una grandissima occasione per tutti noi. Le città che hanno ospitato un’Olimpiade si sono trasformate, l’ho potuto constatare più volte perché per le mie gare ho girato il mondo. Sicuramente le infrastrutture ne beneficeranno».

Le piacerebbe far parte del comitato organizzativo?
«Sarebbe bellissimo, anche in base ai miei studi in Bocconi e al master in Bicocca in Sport Management e Marketing, ma credo che il comitato si stia già delineando».

Come sta l’atletica milanese?
«Mi alleno molto nei parchi, sulla strada, meno nei campi di atletica. Diciamo che le strutture ci sono, ma si possono migliorare. Il fatto che a giugno si farà la Diamond League per la prima volta da noi e non all’Olimpico di Roma è un segnale positivo. Per questo motivo stanno rifacendo la pista dell’Arena: si tratta di uno degli impianti più affascinanti, non solo d’Italia ma del mondo».


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