Medici di famiglia: «Noi, in trincea senza mascherine»

Roberto Carlo Rossi (Ordine dei Medici di Milano): «I medici di famiglia hanno molta paura»

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I medici di famiglia sono fra i più esposti. Stretti fra centinaia di chiamate di emergenza e la paura, il terrore di rimanere coinvolti nell’infezione da coronavirus.

 

Medici di famiglia, parla Roberto Carlo Rossi

Roberto Carlo Rossi
Roberto Carlo Rossi

Un terrore diventato più forte dopo la scomparsa prematura di Marcello Natali, segretario dei Medici di famiglia di Lodi. La categoria è in trincea in tutta Italia. Ma le dotazioni di sicurezza non sono sufficienti. Lo conferma a Mi-Tomorrow Roberto Carlo Rossi, presidente dell’Ordine dei Medici di Milano.

Com’è la situazione dei medici di base in questo momento sul territorio?
«Drammatica. Dal 22 febbraio a oggi sono state distribuite solo dieci mascherine chirurgiche, mercoledì scorso. Qualcuno è riuscito ad avere un flacone di disinfettante e un pacco di guanti. Ma si tratta di una minoranza».

Quali sono le richieste più frequenti che i medici di famiglia stanno fronteggiando?
«Più che altro consulenze relative allo stato di salute. C’è molta preoccupazione anche per sintomi similinfluenzali che in altre occasioni sarebbero da considerare meno che banali. Aumentano le richieste incongrue di certificati di malattia per pazienti che hanno paura di recarsi al lavoro ma che non hanno patologie e non sono in quarantena».

Questi medici si sentono in trincea come accade negli ospedali?
«Sì, certo. In ospedale i colleghi sono costretti a turni assurdi e massacranti. Inoltre, nei reparti a bassa intensità, mi dicono ci sia anche lì il problema dei dispositivi di protezione mancanti.

Sul territorio, essendo sprovvisti di dispositivi di protezione individuale, tutte le volte che ci si reca in studio si spera di non infettarsi. Ricordo che l’Oms definisce, come minima, la dotazione di guanti, occhialini e/o visiera di protezione, mascherina, camice monouso idrorepellente».

I medici di base quindi non hanno tutte le dotazioni di sicurezza necessarie?
«Assolutamente no».

Siamo quindi di fronte alla paura di svolgere il proprio lavoro?
«Indubbiamente sì. I medici di famiglia hanno molta paura».

Come sta funzionando l’assistenza domiciliare in queste settimane?
«Viene limitata al minimo indispensabile, nel tentativo di abbassare il più possibile i contagi».

In quali casi l’assistenza domiciliare è comunque garantita?
«I servizi Adi stanno continuando a funzionare regolarmente».

In quali casi, invece, non può essere garantita in questa situazione?
«In questo momento sarebbe necessario istituire servizi Adi dedicati a pazienti Sars-CoV2. Che io sappia, questo servizio non è stato ancora messo in piedi».

Ai medici di base viene chiesto anche di agire da “psicologi” per tranquillizzare i propri pazienti?
«Certo. Il counselling è una delle principali attività e penso che, soprattutto in un frangente come questo, sia anche la più importante».

Quando sia necessario andare a casa di un paziente, cosa prevedono i protocolli di sicurezza?
«I pazienti con sintomi respiratori non possono essere visti senza adeguati dispositivi. Però, oramai, anche quelli asintomatici potrebbero essere portatori di coronavirus. Per questa ragione è sconsigliato vedere una persona se si sia privi di dotazioni di sicurezza. Si cerca quindi di limitare al massimo le visite domiciliari. Ci sarebbe bisogno di seguire questi pazienti con la telemedicina ma nessuno si è organizzato in tal senso».

A Milano i contagi sono ancora relativamente pochi. Qualcuno dice che in molti si ammalano, restano in casa, non fanno il tampone e danno per scontato che si tratti di coronavirus. Le risulta?
«Il tampone non viene fatto soprattutto perché non lo si vuol fare, nel senso che si è scelto di limitarne moltissimo l’esecuzione».

Nella sua esperienza personale e professionale che situazione sta vivendo?
«Vivo una condizione di rischio personale. Che si traduce anche in un rischio non solo per i miei cari, ma anche per i miei pazienti».

Cosa chiedono i medici di base al Governo?
«In questa situazione, l’assistenza territoriale di base va chiusa. Molto meglio organizzare i medici in unità che, ove ce ne sia bisogno, possano girare a turno sul territorio. Ma occorre essere protetti e forniti di dispositivi di protezione.

Parallelamente, il monitoraggio telefonico e telematico potrebbe essere organizzato in tempi rapidi e costituirebbe un modo per essere vicini ai propri pazienti senza rischi per loro e per noi.

Inoltre, bisogna attuare immediatamente la smaterializzazione reale di tutte le ricette. Il medico firma la ricetta che rimane online fino a che il farmacista non la annulla ed eroga il farmaco. Si può già fare subito, non capisco perché non si attui questa misura».

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