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03. 05. 2024 18:25

Commissariata l’azienda di moda Alviero Martini: «Borse realizzate da operai sfruttati e sottopagati»

I lavoratori, stando agli atti, percepivano paghe al di sotto della soglia di povertà, ossia poco più di 6 euro all'ora

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La Sezione autonoma misure di prevenzione del tribunale di Milano ha disposto l’amministrazione giudiziaria, in un’inchiesta dei carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro e del pm Paolo Storari, per l’azienda dell’alta moda Alviero Martini spa, specializzata in borse ed accessori, «ritenuta incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo nell’ambito del ciclo produttivo». Sarebbero stati massimizzati i profitti usando «opifici cinesi» e «facendo ricorso a manovalanza ‘in nero’ e clandestina».

L’indagine sulla Alviero Martini

Il commissariamento è stato disposto dalla Sezione misure di prevenzione, presieduta da Fabio Roia, a carico dell’azienda fondata nel ’91 e con sede a Milano, che produce in particolare borse e accessori famosi per le mappe geografiche disegnate. Stando agli accertamenti, l’impresa non avrebbe «mai effettuato ispezioni o audit sulla filiera produttiva per appurare le reali condizioni lavorative» e «le capacità tecniche delle aziende appaltatrici tanto da agevolare (colposamente) soggetti raggiunti da corposi elementi probatori in ordine al delitto di caporalato».

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È stato accertato che la casa di moda avrebbe affidato «mediante contratto di appalto con divieto di sub-appalto senza preventiva autorizzazione, l’intera produzione a società terze, con completa esternalizzazione dei processi produttivi». E le aziende appaltatrici, però, avrebbero «solo nominalmente» una «adeguata capacità produttiva e possono competere sul mercato solo esternalizzando le commesse ad opifici cinesi, i quali riescono ad abbattere a loro volta i costi grazie all’impiego di manodopera irregolare e clandestina in condizioni di sfruttamento».

Alviero Martini, la testimonianza di un operaio

«Vengo pagato 1,25 euro a tomaia (la parte superiore di una scarpa, ndr) durante la settimana dormo sopra la ditta al piano primo presso locali adibiti a dormitorio (…) in una giornata lavorativa produco circa 20 paia di scarpe (…) percepisco un bonifico mensile di circa 600 euro che ci paga il titolare che produce tomaie relative all’azienda Alviero Martini». È una delle testimonianze dei lavoratori cinesi impiegati negli opifici che avrebbero lavorato per produrre per conto dell’azienda di alta moda.

Alviero Martini, le condizioni di miseria dei lavoratori

I lavoratori, stando agli atti, percepivano paghe al di sotto della soglia di povertà, ossia poco più di 6 euro all’ora, e stavano in luoghi con «micro camere, completamente abusive», con «chiazze di muffa» e con «impianti elettrici di fortuna». Un altro operaio ha messo a verbale: «Percepisco 50 centesimi ogni fibbia rifinita (…) non sono mai stato visitato dal medico dell’azienda». Durante la settimana dormivano nei dormitori “abusivi” degli opifici e solo nel fine settimana tornavano nelle loro “abitazioni”. Stando alle indagini, per un prodotto venduto sul mercato a 350 euro l’opificio cinese si sarebbe fatto pagare 20 euro.

Alviero Martini, un operaio in nero morto sul lavoro

C’è anche un morto sul lavoro, un operaio in nero e il giorno dopo l’infortunio in cui ha perso la vita regolarizzato da una delle società appaltatrici. Nei capannoni della ditta di Trezzano Sul Naviglio, nel Milanese, un lavoratore di 26 anni, originario del Bangladesh, è morto schiacciato dalla caduta di un macchinario. Ma, «per camuffare l’effettivo status di lavoratore in nero» dell’operaio, il giorno dopo la società «ha inviato il modello telematico di assunzione al Centro per l’impiego e agli enti contributivi e assicurativi Inps ed Inail».

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