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26. 04. 2024 08:50

La città è degli uomini

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Molti si compiacciono, in questi lunghi giorni di chiusura obbligata, della natura che “rioccupa” gli spazi, di animali che si “riprendono” le città, i luoghi.

 

In realtà non li stanno riprendendo, ce li stanno sottraendo. Perché le città sono degli uomini, invenzioni umane tra le più grandiose di sempre. Qualcuno sostiene che è sbagliato sperare di tornare a come era prima, eppure alzi la mano chi non vorrebbe teletrasportarsi, che ne so, al dicembre scorso.

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Si affaccia sempre più insistente e potente una visione ottimisticamente ecologista del post-pandemia. L’ideologia della “decrescita felice” riprende vigore e spinta, con il vento in poppa del “nulla sarà come prima”. È evidente a tutti che c’è stato un prima e ci sarà un dopo. Il cambiamento è e sarà un dato di fatto ineludibile.

Così come è talmente ovvio da apparire quasi banale la necessità di modificare, finché non ci sarà un vaccino, i nostri ritmi di vita e le nostre abitudini consolidate. Ma con il passare del tempo sarà la città stessa a determinare i suoi tempi, la sua velocità, la sua forma.

Il punto non è, quindi, affidarsi a ideologie che appaiono quasi “millenariste”, a spinte verso lo stravolgimento del mondo per come lo abbiamo conosciuto. La vera sfida è accettare il cambiamento, ma soprattutto renderlo funzionante, dal punto di vista economico, urbanistico, ecologico, sociale.

Capire nel più breve tempo possibile cosa può funzionare e cosa no sarà decisivo, per la città di domani. Soprattutto immaginare una società, una città funzionante significa individuare cosa si può aggiustare – e come – e cosa, invece, si è rotto in modo irrimediabile.

Un lavoro complesso, sicuramente meno rassicurante di pensieri affascinanti ma con il fiato corto. La realtà, alla fine, si impone molto più degli slogan. Al tempo stesso, la realtà si può modificare per renderla più confortevole, giusta in senso sociale, respirabile in senso globale.

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