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11. 05. 2024 20:56

Daniel Canzian, i miei dieci anni in Brera: «Prima il cliente, poi il piatto»

Compleanno importante per ristorante milanese dello chef: «Voglio sentirmi sempre più un oste, con la camicia e con la giacca da cuoco che starà più in sala che in cucina. E quella volta a cena con Gualtiero Marchesi e Michel Troisgros…»

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Il ristorante Daniel Canzian in via Castelfidardo, all’angolo con via San Marco, in zona Brera, è oggi un vero punto di riferimento. E festeggia dieci anni di orgogliosa vita. In questi ultimi anni sono successe molte cose: governi cambiati, Olimpiadi, guerre, le prime dimissioni di un Papa nella storia della chiesa, Brexit, Covid e così via. In questo lungo lasso di tempo c’è chi è caduto e si è rialzato, riuscendo a diventare un’istituzione culinaria italiana e non solo: Daniel Canzian.

Daniel Canzian: «Il mio percorso di cucina non è di certo terminato, a gavetta me la sono fatta. Oggi sembra che non voglia farla più nessuno»

Daniel Canzian
 

Canzian, che cosa rappresentano per lei questi primi dieci anni di vita del suo ristorante a Milano?
«Un traguardo, perché essere in grado di uscire con la nave dagli scogli per cominciare a navigare in mare aperto non è cosa semplice. Frase che riassume un po’ tutto, altrimenti mi verrebbe voglia di raccontarvi quello che la gente non racconta».

Vale a dire?
«Sono passato attraverso società fallite, decreti ingiuntivi, ristrutturazione di un debito, che neanche sapevo cosa fosse… molte persone si sono avvicinate ma ho sempre detto no, se proprio devo chiudere non voglio che sia qualcun altro a tirare giù la serranda».

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Quindi cos’è successo?
«Calma, pazienza e coerenza; soprattutto sulle materie prime, di qualità sin dalla nostra apertura nel 2013».

Cosa le ha dato Milano in questi dieci anni?
«Fiducia. Volveva vedere se ero in grado di poter arrivare alla messa a terra. Io sono dell’Acquario, un sognatore. E il mondo mi ha insegnato che serve la messa a terra per qualsiasi idea. E che serve fiducia, quella che Milano mi ha dato nel mio percorso imprenditoriale».

Com’è cambiato il lavoro in questi dieci anni?
«In maniera radicale. Non voglio sembrare fuori luogo, ma lancio una riflessone: non è che forse non stiamo più insegnando il concetto di disciplina?».

Si spieghi.
«Personalmente devo ringraziare i cuochi che mi hanno insegnato il mestiere. Io entravo alle 8.00 del mattino, da dicembre a gennaio non avevo un giorno libero; eppure sono vivo, in salute e arricchito nello spirito. Tornassi indietro, lo rifarei. Non vorrei che il concetto di sostenibilità delle persone, che è corretto, fosse un paravento. Io ho 43 anni e, dopo aver assorbito idee, concetti, tecniche, esperienze, posso permettermi del tempo per me. Il mio percorso di cucina non è di certo terminato, mi devo evolvere sempre, ma la gavetta me la sono fatta. Oggi sembra che non voglia farla più nessuno».

Il ricordo più bello?
«Ne ho tanti, davvero. Ma rilancio questo: il 15 settembre 2015, grazie a una telefonata all’ultimo istante, ebbi a cena da me Michel Troisgros (chef francese rappresentante di una famiglia da tre stelle Michelin, ndr); chiamai Gualtiero Marchesi che si indispettì perché Troisgros veniva a cena da me e non da lui. Lo invitai, fu una bellissima serata a scambiar chiacchiere con due mostri sacri; con tanto di foto rubata. Fu una grande emozione».

Il ricordo che vorrebbe eliminare?
«Nessuno, perché anche il più brutto, quello che non vorrei raccontare, alla fine è stato comunque formativo e fa parte del contesto; ci sta».

Il futuro?
«Guardiamolo tutti assieme, scopriamolo assieme; niente di già scritto, il domani è un foglio bianco ancora da compilare.

Qual è il suo desiderio?
La voglia personale è quella di rifare tutti i piatti classici, semplici, senza inibizione. Un ritorno alla genuinità, alle trattorie di un tempo, purtroppo ce ne sono sempre meno. Oggi chiunque è predisposto ad andare a mangiare coreano, eritreo, giapponese… etnico insomma. Lì dove, spesso, nel menu è presente anche la dicitura di origine con traduzione. Ecco, se per ristorante etnico intendiamo quello che è rappresentazione di un popolo o una città, io mi ritengo un ristoratore etnico a tutti gli effetti con la mia cucina veneta. Per cui mi piacerebbe prendere questa direzione».

Ma perché tutto questo?
«Perché non vorrei che la gente, dopo un po’, si stancasse nel vedere chef che cercano sempre di stupire con i propri piatti. Il protagonista della serata, se io e lei andiamo a cena, siamo io e lei, mica il piatto. Quest’ultimo è un accompagnatore ideale e la location è l’experience che ci avvolge. È il nostro momento: ma di recente si sono un po’ confusi questi ruoli».

Quindi, chi sarà Daniel Canzian domattina?
«Ancora più un oste, con la camicia e non la giacca da cuoco; che starà più in sala che in cucina, a raccontare i propri piatti senza vergogna».

 

CHI È 

Daniel Canzian è nato a Conegliano, tra le colline venete del Prosecco, da una famiglia di “osti” che ha saputo accendere in lui la passione per la cucina. Fin da giovanissimo, viaggia e lavora nelle migliori cucine d’Italia e di Francia; decisivo è l’incontro con Gualtiero Marchesi, che lo mette a capo dei ristoranti del suo gruppo come Executive Chef. Nel 2013, poi, apre il ristorante che porta il suo nome, dove afferma la sua personale idea di cucina. La valorizzazione dell’italianità dei suoi piatti è stata scelta per la cena della Prima della Scala del 2018, oltre che per l’evento di inaugurazione di Aqua, l’installazione del Salone del Mobile del 2019 dedicata al genio di Leonardo Da Vinci. Dal 2016 fa parte dell’associazione JRE Italia (Jeunes Restaurateurs) insieme ai migliori ristoratori-imprenditori nazionali e dal 2020 ne è vice presidente; mentre a gennaio 2019 ha assunto la carica di membro del Board Europeo.

 

LA FILOSOFIA

Una cucina contemporanea, dove la tradizione si unisce allo studio delle materie prime per valorizzarle ed esaltarle in piatti che guardano al futuro, nel rispetto della natura. È questa la filosofia di Daniel Canzian, chef e patron dell’omonimo ristorante di via Castelfidardo: uno spazio conviviale ed elegante, caratterizzato da una proposta gastronomica innovativa, che si fonda su ricerca, semplicità e stagionalità degli ingredienti, e attualizza i piatti della tradizione con una particolare attenzione al patrimonio regionale veneto. Con un occhio all’attualità: dal 2020, infatti, è attivo anche il servizio di consegna a domicilio. Lo chef cura anche la proposta gastronomica del nuovo campus SDA dell’università Bocconi.

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