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13. 05. 2024 09:03

Guido Harari in mostra a Milano fino al 2024: «L’anima di un artista, a fuoco, in uno scatto»

Ottimo esordio per l'esposizione Incontri - 50 anni di fotografie e racconti, alla Fabbrica del Vapore fino al 1° aprile

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Raccontare cinquant’anni di musica e costume attraverso la fotografia, quella di Guido Harari. Alla Fabbrica del Vapore, fino al 1 aprile 2024, c’è Incontri – 50 anni di fotografie e racconti, la mostra che ripercorre la storia di uno dei maggiori fotografi italiani, Guido Harari. Tanti i volti conosciuti ritratti, «tutti cercati a livello personale – precisa Harari – e non commissionati da giornali. Il mio era un puro desiderio di avvicinarmi al personaggio per capirne i tratti, non solo fisici, ma caratteriali». Ingresso da 14,50 euro su mostraguidoharari.it.

Tanti i ritratti di artisti milanesi di Guido Harari: «La memoria è il sentimento più nobile dell’umanità e non andrebbe persa»

Cinque decenni di fotografia raccontata in più di trecento scatti.
«Tutto è nato dalla mia curiosità, dal mio desiderio di conservare una memoria e una testimonianza da fan, prima che da fotografo. Dai giornali musicali dell’epoca fino alle copertine dei dischi, sono stati tanti gli artisti che si sono affidati a me, senza approvazioni di manager o staff, senza sovrastrutture».

Vasco Rossi l’ha definita il “Vasari del rock”. Quindi arte e fotografia possono coesistere.
«Quella definizione risale a quasi quarant’anni fa e mi divertì molto riceverla. Quando ci si ritrova davanti all’artista bisogna pensare che non è solo l’immagine estetica che si va a fissare con una stampa, ma la sua anima. La fotografia diventa specchio di tutte le nostre paure, incertezze, gioie, desideri, tutti da mettere a fuoco in uno scatto. Questo è il mio compito».

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Un ricordo in particolare?
«Con Ennio Morricone si instaurò una complicità straordinaria, anche involontaria. Non aveva voglia di farsi fotografare, in realtà, e per questo nel ritratto sono visibili solo gli occhiali, sospesi. Da un elemento di gioco possono arrivare anche fotografie così».

Sono tanti i milanesi, di nascita e non, presenti in mostra. Partiamo da Carla Fracci.
«Lei è presente in due ritratti: una in costume da ballerina – era sul palco del Teatro Carcano – e una in abiti borghesi. Se in una c’è la posa classica, nell’altra la Fracci del dietro le quinte, in abito nero, ammaliante e carismatica».

Roberto Vecchioni?
«Insieme a lui ho condiviso ironia e intelligenza. Si è prestato a pose meno plastiche, e più giocose: nel ritratto esposto in mostra siamo nella natura che circonda la sua casa nel veronese».

Con Ornella Vanoni come è andata?
«Ho avuto modo di lavorare con lei anche durante le sue tournée con Gino Paoli. Ornella è una creatura affascinante, dotata di una straordinaria, e rara, classe».

Cosa ci dice di Giorgio Armani?
«Insieme concordammo una posa classica in primo piano, ma notai subito il suo estremo controllo sulla propria immagine, tanto da suggerirmi ottica e inclinazione della macchina fotografica. Estremamente attento e giudizioso».

Il suo rapporto con Dario Fo e Franca Rame?
«Ci tenevo tanto ad averli insieme. Franca è stato il segreto del successo di Dario, volevo che questo si potesse leggere nello scatto – da loro molto amato -, divenuto poi simbolo anche della loro fondazione».

Di Giorgio Gaber ci sono diversi scatti.
«Di lui c’è una sequenza di fotografie che lo ritraggono nella sua specialità, l’arte attoriale. Con il suo linguaggio del corpo sapeva comunicare oltre le parole e oltre la musica: difatti con otto diverse espressioni “disegno” otto diversi Gaber».

Enzo Jannacci?
«A proposito di linguaggio del corpo. Di lui c’è una foto che lo vede con martello e toga da giudice. L’abbiamo fatta insieme prima di uno spettacolo, una grande satira per un grande uomo di spettacolo».

Fo, Gaber e Jannacci tornano nella storica foto a tre.
«Ero al Castello Sforzesco per assistere al concerto celebrativo dei trent’anni di carriera di Jannacci e sapevo che avrebbe avuto presenti ospiti importanti. Avevo previsto un piccolo set fotografico per il libretto del disco live, ma il mio sogno era ritrarre questo trio insieme, per la prima volta. Il risultato è arrivato in tre o quattro fotogrammi, non di più».

Quale milanese di oggi le piacerebbe ritrarre?
«Avrei molta difficoltà a rispondere. La Milano di oggi è abitata da influencer, lontani anni luce dalla categoria di intellettuali alla quale ero abituato. Di conseguenza, non mi incuriosiscono particolarmente».

La sua è una Milano di un tempo, quindi.
«Una città che non esiste più, in effetti, perché chi l’ha resa grande non c’è più. Jannacci ha consacrato il dialetto milanese, ad esempio. La memoria è il sentimento più nobile dell’umanità e non andrebbe persa».

Quale era la sua Milano?
«Oggi vivo in Piemonte, ma a Milano ho passato ben cinquant’anni. Ricordo le vie del centro che vivevo da piccolo, come via Torino e via Santa Maria Valle, che stranamente non le vedo tanto cambiate oggi, e per fortuna».

Guido Harari

Occhi di Milano, la mostra “sospesa” 

Nella mostra è inoltre allestita la “Caverna magica”, uno speciale set fotografico dove Guido Harari realizzerà ritratti (su prenotazione on line). Oltre alla stampa originale, che lui stesso firmerà e consegnerà a chi sarà ritratto, una seconda stampa verrà esposta – in tempo reale – nella sezione che chiude la mostra, Occhi di Milano, una sorta di “mostra nella mostra” che si popolerà via via degli sguardi della città. E per rappresentarli tutti, Harari realizzerà dei “ritratti sospesi” ai milanesi “meno fortunati” nella Casa dell’accoglienza Enzo Jannacci e in altre strutture di assistenza. Anche questi andranno ad aggiungersi al grande mosaico degli Occhi di Milano.

Oltre al catalogo arriva Jannacci arrenditi!

In occasione della mostra Rizzoli Lizard pubblica un volume di 432 pagine, Remain In Light, che ne costituisce il catalogo completo della mostra, disponibile anche nello shop presente alla Fabbrica del Vapore, dove verrà presto presentato anche il nuovo libro Jannacci arrenditi! (Rizzoli), in uscita il 14 novembre, curato da Harari e Paolo Jannacci.

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