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29. 04. 2024 03:20

Quando l’Italia perse la faccia nel caso Tortora, della Valle: «Vittima di magistrati e stampa, il suo caso può ripetersi»

Nel libro intervista l’avvocato racconta una delle vicende giudiziarie italiane più clamorose: «Non dimentichiamo il suo grande coraggio e rigore morale»

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Sessanta anni di battaglie in tribunale che continuano grazie agli 85 anni portati in modo straordinario, ma il nome di Raffaele della Valle resta legato alla sua difesa di Enzo Tortora. In un libro intervista, in conversazione con Francesco Kostner, Quando l’Italia perse la faccia (Luigi Pellegrini Editore) ricorda quella vicenda che sconvolse gli italiani.

Raffaele della Valle: «Una volta deciso l’arresto e dato in pasto Tortora alla stampa i magistrati non potevano tornare indietro e ammettere di avere sbagliato perché avrebbe fatto crollare la loro inchiesta»

 

Tortora
Tortora

Quando conobbe Tortora?
«Negli anni ‘70, entrambi eravamo militanti del Partito Liberale».

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Quale rapporto avevate?
«Eravamo uniti da amicizia, da reciproco rispetto, lui amava molto i temi di carattere giuridico e mi interpellava spesso. Lo avevo anche difeso per alcune querele, era anche un giornalista di grandissimo spesso culturale».

Aveva fama di avere un cattivo carattere.
«Era schivo, un po’ chiuso, diretto nei rapporti personali, non amava la vita mondana, diciamo che era un po’ aristocratico ma, al tempo stesso, catturava la simpatia della gente. Racconto subito un aneddoto».

Prego.
«Quando fecero la perquisizione in casa sua trovarono tanti libri, quasi tutti consumati perché lui li divorava, era un grande conoscitore della letteratura francese e dei classici: un aspetto che, unito al grande successo che riscuoteva, gli procurava molte invidie tra i colleghi».

Come si può spiegare ciò che è successo 40 anni fa’?
«Allora vigeva un principio che si era affermato sotto il nazismo: la colpa d’autore».

In cosa consiste?
«Prima creo il mostro poi dico che non può non essere colpevole».

Chi creava il mostro?
«Esisteva un circuito di cui facevano parte magistrati e giornalisti, questi ultimi costruivano una gogna mediatica e così squalificavano colui che finiva in questo meccanismo».

Perché proprio Tortora?
«Tutto partì da un refuso. Arrestarono Puca, un pregiudicato, nella cui agenda trovarono un numero di telefono senza prefisso con il nome Enzo Tortora/na: dalla Procura di Lecce l’indagine fu trasmessa a quella di Napoli che stava svolgendo una maxi inchiesta sulla camorra. Dopo diversi mesi e numerosi interrogatori i cosiddetti pentiti Barra e Pandico iniziarono a fare il nome di Tortora come trafficante di droga».

Perché non emerse mai che si trattava di un errore?
«Una volta deciso l’arresto e dato in pasto Tortora alla stampa i magistrati non potevano tornare indietro e ammettere di avere sbagliato perché avrebbe fatto crollare la loro inchiesta».

Sta dicendo che i magistrati chiusero gli occhi di fronte a riscontri negativi sulle indagini?
«Faccio un altro esempio: contestarono quella che consideravano una lettera criptata di Barbano, un carcerato che lamentava l’invio di centrini alla trasmissione Portobello e mai più restituiti: chiarimmo che era una faccenda regolare di cui Tortora non si era mai occupato ma non servì a nulla».

Il caso Tortora si può definire kafkiano?
«Anche peggio, mancavano del tutto gli elementi indiziari, era un processo che non doveva neppure iniziare».

Ci potrà essere un altro caso Tortora?
«Sì, magari non in quelle dimensioni, se non cambierà la cultura giuridica e non cesserà quella del sospetto».

Cos’altro è necessario per migliorare la giustizia?
«È necessario investire risorse, ci vuole personale adeguato, strutture e mezzi».

Quali sono i ricordi positivi di questa storia?
«La grande dignità di Tortora, il coraggio con cui è arrivato a sfidare i giudici, il grande rigore morale dimostrato».

 

 

ENZO TORTORA, UN MILANESE D’ADOZIONE

Enzo Tortora è nato a Genova nel 1928 ma poi è diventato milanese di adozione. Giornalista, è stato uno dei padri della televisione italiana conducendo programmi di vasto successo tra cui Portobello. Nel 1983 venne arresto nell’ambito di una mxi inchiesta contro la camorra e condannato a 10 anni in primo grado. Nel 1986 l’assoluzione e il ritorno in tv ma, dopo solo due anni, morì.

 

L’OMAGGIO DI MILANO

Uno dei più appassionati nel coltivare la memoria di Enzo Tortora è il consigliere comunale di Forza Italia Alessandro De Chirico: a lui si deve la mozione del 2019 che ha portato alla targa posta nel 2021 nel palazzo di via dei Piatti 8, in zona Missori, dove viveva il presentatore. Un’altra mozione, sempre presentata in consiglio dall’esponente forzista, chiede alla giunta l’apposizione di un’altra targa sul luogo della Colonna Infame, al Verziere, che testimonia un altro orrore giudiziario: quello di Gian Giacomo Mora nel ‘600, da cui Manzoni trasse la Storia della Colonna Infame. A Milano è attiva anche l’Associazione Enzo Tortora, in via Brusuglio. Animata dai Radicali Italiani è anche la sede dell’archivio Tortora che contiene documenti, oltre che sulla sua vicenda, sulla storia d’Italia dagli anni ‘70 a oggi. E’ allo studio, come afferma la segretaria Maria Raffaella Stacciarini, la realizzazione di una mostra con il materiale dell’associazione.

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