Affitti brevi: danno oppure occasione?

Non tutti conosceranno il termine "centricidio", ma è uno dei problemi più comuni nelle grandi metropoli: si tratta dello spopolamento dei centri residenziali “incentivato” da nuovi servizi come Airbnb, a vantaggio del turismo. Ma dove sta pendendo la bilancia? Lo abbiamo chiesto a voi

Danno oppure occasione? Questo è il dilemma legato alla questione degli affitti brevi. La parola “centricidio” indica quel fenomeno di spopolamento dei centri storici delle grandi città legato in particolar modo al boom dei servizi di affitti brevi.

 

Una “piaga” che affligge molte realtà italiane. Pare ad eccezione di una, la solita. Per quanto riguarda Milano, infatti, ha pensato a “rassicurare gli animi” l’osservatorio Halldis, che online si autocelebra come unico «controllore» del settore degli affitti brevi in Italia.

Ebbene, secondo l’ultima indagine condotta, la città della Madonnina sarebbe pressoché immune al temibile fenomeno. Perché? Secondo i ricercatori, la perdita di abitanti del centro storico meneghino non è correlata all’esplosione delle piattaforme dedicate agli affitti brevi: basti pensare che nel decennio 1999-2009 si è registrato uno svuotamento di residenti dell’8,5% quando i servizi sul web di questo genere erano ancora in fase embrionale.

Non solo: i dati dell’osservatorio certificano come dal 2014, grazie anche al vento d’internazionalità portato da Expo 2015, il Municipio 1 abbia iniziato a registrare un trend positivo sui nuovi residenti.

Affitti brevi: il percepito

Antonio Rainò, responsabile dell’Osservatorio Halldis, individua le cause dello spopolamento altrove: «Il centro di Milano ha iniziato a perdere popolazione per le stesse ragioni per le quali anche i centri di altre città italiane e straniere hanno perso residenti. L’aumentare dei prezzi ha impedito l’arrivo di nuovi residenti e il peggioramento della qualità della vita in centro li ha portati a guardare ad altre zone maggiormente servite».

Un punto di vista naturalmente orientato dal fatto che l’azienda stessa agisce in prima fila sul mercato degli affitti brevi: solo a Milano può contare sulla gestione di oltre 350 alloggi e a breve inserirà nel suo portafoglio anche la nuova Torre GalFa, il grattacielo più antico della città in via Fara (a due passi dalla Stazione Centrale). Ora, la volontà non è certo quella di discutere sull’efficacia (o sull’inefficacia) degli affitti brevi sullo stato di salute del centro, quanto quella di provare a capire dai milanesi quale sia il loro percepito.

Overtourism

Solo nel 2019, Milano ha accolto un flusso turistico di circa 10 milioni di visitatori. I numeri, per quanto diano lustro all’attrattività e all’internazionalizzazione meneghina, impongono una riflessione su quello che in sociologia viene definito overtourism: il turismo di massa, infatti, non è solo generatore di ricchezza ma anche di una serie di squilibri che si ripercuotono irrimediabilmente sul tessuto urbano (non a caso, il sindaco Sala ha collegato anche l’overtourism al recente martoriamento del manto stradale, ndr).

Più cresce il flusso dei turisti e maggiori difficoltà emergono nelle capacità di ricezione, le quali si ripercuotono a livello ecologico, economico ed anche abitativo. Gli affitti brevi contribuiscono a trasformare il centro storico in una meta sempre più turistica ed è innegabile una correlazione tra questo mutamento e l’aumento dei prezzi immobiliari. Un upgrade costato anche ai vecchi residenti.

Far West normativo

Gli affitti brevi proposti da piattaforme come Airbnb incentivano certamente il turismo. Ma la ricchezza generata da esso quanto contribuisce realmente al miglioramento della vita dei residenti in città? L’afflusso di turisti è elemento imprescindibile per lo sviluppo della metropoli, ma la crescita di visitatori comporta l’incremento di servizi, dal potenziamento dei trasporti allo smaltimento dei rifiuti, che si riversano direttamente nelle (sarebbe meglio dire “fuori dalle”) tasche dei contribuenti.

E il Comune quali benefici trae dagli affitti brevi? Pochissimi. Anche perché è sostanzialmente presente un vuoto normativo in materia. Solo il mese scorso la Regione ha dato vita al cosiddetto contratto di home sharing da stipulare tra proprietari e conduttori. Peraltro non è un provvedimento obbligatorio e ancora oggi gran parte degli appartamenti presenti sulle piattaforme evade il versamento della tassa di soggiorno da destinare alle amministrazioni.

Il Far West, insomma, è servito. E i pareri dei milanesi sembrano essere decisamente in linea.

Affitti brevi
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