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27. 07. 2024 04:00

Andrea Delogu al Manzoni tra crisi, rinascita e ritrovata libertà: «Non fermatemi»

Curiosità, passioni, aria sognante, cuore aperto: tutta Andrea Delogu, dalla A di affetto alla T di Tonica, il suo gioiello in tv. O di teatro

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Quarant’anni. Anzi, quarantuno e non sentirli proprio. Andrea Delogu è così: un concentrato di curiosità, passioni, aria sognante e cuore aperto. Come quello con cui si è raccontata per la prima volta a Mi-Tomorrow anticipando l’arrivo al Teatro Manzoni di “40 e sto”, lo spettacolo che sta portando in giro nei teatri d’Italia.

È un monologo in cui racconta i “suoi primi 40 anni”, la crisi, la rinascita e la ritrovata libertà. E l’11 dicembre, finalmente, ecco la venue milanese in una data che ha già registrato il sold-out. E che, è notizia di pochi giorni fa, avrà anche un piacevole raddoppio il 30 gennaio 2024. Per chi non avrà la possibilità di vederla dal vivo questa volta, il 30 gennaio è prevista una seconda data. «Il teatro è una prova del nove, ogni sera», esordisce con quel fare autentico di una donna che si sente in trappola solo quando non ha «più niente da imparare».

Andrea Delogu al Manzoni con “40 e sto”

Tv, radio, ora il teatro… Chi ti ferma più?
«Il mio problema, che forse è più una risorsa, è che ho un disturbo dell’attenzione pronunciato e un bisogno di cambiare. Poi sono dislessica, ho un disturbo dell’apprendimento, insomma: pacchetto completo. Comunque è una caratteristica, non una malattia, per cui ne parlo sempre come una risorsa. Mi dà la possibilità, costringendomi a impegnarmi su più fronti, di non sentire che mi manca il respiro, di vedermi in trappola. È l’unica soluzione per me per essere felice: “rischiare” su più cose. Il teatro è la prova del nove, l’ho aspettato tanto. Avevo iniziato una pièce con il mio ex marito (l’attore Francesco Montanari, ndr), ma poi è arrivato il Covid e quindi lo spettacolo è durato solo cinque repliche. E’ stato bellissimo però, eravamo in coppia. Poi ho atteso di nuovo prima di decidere se tornare sul palco o meno».

Ti sentivi rassicurata da quella condivisione sul palco?
«Indubbiamente la sua presenza mi dava una sicurezza incredibile. Conta che Francesco è uno degli attori più bravi che abbiamo in Europa, è un talento incredibile. Quindi ho avuto la fortuna di farlo con una persona che, oltre ad essere un grande collega, ci teneva tanto alla mia riuscita. Sono stata fortunata. Ma per tornare sul palco avevo bisogno di qualcosa da dire: sono consapevole che per andare a teatro una persona paga il biglietto, si veste, esce di casa, deve parcheggiare, che è un bel casino… Poi entra in teatro e per un’ora e mezza sta ad ascoltare te. Al pubblico devi dare qualcosa di importante, hai una responsabilità».

E poi?
«Poi, dopo tutta la gavetta che ho fatto, mi sono detta: va bene, ci sono. Stare da sola su un palco era l’unico vero modo per prendermi le mie responsabilità e capire se fossi in grado di farlo».

Tra l’altro vai in scena al Manzoni, non proprio l’ultimo dei teatri…
«Ho chiesto un grande trampolino di prova perché, se dovevo farlo, dovevo farlo bene».

Prima hai parlato di trappole… Quando ti senti in trappola?
«Quando non ho più niente da imparare. Per me l’importante è che possa imparare a fare qualsiasi cosa, ad esempio il cubo di Rubik, giocare a scacchi. Adesso voglio imparare a suonare il piano. Lo farò malissimo perché poi queste cose dipendono anche dall’età, anche se facciamo finta che non esista, però se non imparo mi sento che non ho più niente per cui vivere. Mi circondo di persone da cui posso imparare molto».

Intanto vieni da anni di grandi cambiamenti, non ultimo una casa che hai costruito pezzo per pezzo.
«Lì c’è tutto di me. Ho sempre sognato di potermene comprare una da sola. Quando ne ho avuto la possibilità, l’ho comprata e l’ho costruita davvero pezzo dopo pezzo. Fai conto che ogni due giorni ero al cantiere. Sono andata a viverci quando non era ancora ammobiliata, solo con il materasso per terra. È una casa imponente, colorata, con tante cose dentro. La mia idea è rimanerci cinque anni e poi la venderò, anche perché se penso di starci tutta la vita mi spengo. Eppure questa casa per me ha rappresentato la svolta, significa essere diventata grande».

Stanza feticcio?
«Lo studio, quel luogo dove la mia mente resta tranquilla. Poi c’è la stanza da letto che è molto arrogante, ma con classe».

Arrogante?
«Ho fatto costruire una vasca da bagno in marmo per tre persone con l’affaccio sul cupolone. Tu mi darai: “Cos’è, Suburra?”. Ma in realtà è molto elegante».

Quindi, tra cinque anni, vieni a vivere a Milano?
«Può essere. L’importante è sapere che devo imparare qualcosa di nuovo».

E cosa ti piacerebbe ancora fare, che sai di non saper fare?
«Aiutare gli altri. Scrivere per altri, fare la regia per altri, anche se so che per fare tutto ciò bisogna studiare. Chi si improvvisa non mette tranquillità a me per cui non vorrei fare questo a nessuno. È molto stressante stare sotto l’occhio di bue. Al momento è qualcosa che mi fa sentire viva, ma un giorno questa prospettiva potrebbe cambiare e mi piacerebbe far esaltare qualcun altro al massimo».

Una volta, se non ti facevi vedere, veniva quasi enfatizzata quell’assenza al punto da rendere un artista ancora più iconico. Oggi, invece, si rischia di sparire.
«Ai tempi c’era l’effetto sorpresa. Ora rischi l’oblio, è vero, ma io non corro questo rischio perché, come ti dicevo, ho bisogno sempre di reinventarmi in qualche modo».

Andrea Delogu al Manzoni
Andrea Delogu al Manzoni

Cosa ti hanno insegnato i tuoi primi quarant’anni?
«A dire di no, a pretendere, a fidarmi».

Qual è la cosa che hai imparato più da piccola di queste tre?
«Non sapevo fare nessuna delle tre. Non sapevo dire no. Avevo sempre questa tendenza a dire: “Dai, facciamolo. Sì, ci sono”. Ora mi sono circondata di persone che mi aiutato a dire no, a rallentare un attimo. Ciò mi serve anche per essere meno oberata e far respirare la testa. Pretendere è stato più difficile impararlo perché è un percorso lungo. Devi sapere di meritare qualcosa, per poterlo pretendere. L’ho imparato in analisi e vivendo le cose della vita. Quando sai che riesci a pretendere le cose che riesci a gestire, allora è molto più bello».

Quello che è stato più difficile imparare a pretendere, ma che alla fine sei riuscita a pretendere?
«Dei programmi che fossero costruiti su di me. Prima avevo paura, mi andava bene quando mi chiamavano e mi inserivano in un programma già fatto. Dopo un po’ mi sono detta che sarei voluta riuscire a fare qualcosa come Tonica oppure come il TIM Summer Hits. E ci siamo riusciti».

A proposito, Tonica?
«Tonica è un mio piccolo dolore. Un programma che è andato benissimo, ma al momento non c’era più spazio per riproporlo. Sono arrivata tardi per la seconda stagione, avevano già chiuso altri contratti. Sono cose che succedono. Ci sono tanti professionisti che aspettano con contratti in mano e io non sapevo benissimo cosa si dovesse fare. Riprenderemo anche quel discorso».

C’è stato un momento preciso in cui sei riuscita a imparare a fidarti?
«Dopo il divorzio. Perché mi hanno circondata d’affetto. Mia mamma e mia sorella sono venute da me, così come alcuni amici bolognesi mi hanno aiutata a fare il trasloco. La mia migliore amica mi ha aiutata giorno per giorno a capire, mi chiedeva come stessi, mi stimolava a uscire. È stato il momento più fragile della mia vita adulta, dove mettevo in discussione tutto perché non avevo più una famiglia in cui ero cresciuta, che era quella con mio marito, alla quale ero molto legata e verso cui continuo a esserlo tuttora. Mi sono ritrovata in una città che ho sempre vissuto con un’altra persona, che consideravo un re di Roma. Pensavo di essere sola, non lo ero. Io, che penso sempre di dover salvare il mondo… Stavolta mi hanno salvata gli altri».

A partire da Ema (Stockholma, ndr).
«Certo! Siamo una cricca piccola, ci contiamo sulle dita di una mano».

Qual è la parte di spettacolo in cui c’è più di Andrea dopo i quarant’anni?
«Per evitare di sembrare, oltreché autoreferenziale, un po’ psicopatica, racconto la mia storia per far capire al pubblico da dove vengo, ma per il resto non dico molto altro. Non ho fatto cose così interessanti come salvare vite, anche se non si sa mai… Ho fatto tutto questo percorso, poi mi son detta: “Da qui in poi mi scateno”. Non posso cambiare il passato, ma nel presente mi diverto molto».

Ecco, in questo presente come ti rapporti con il femminismo?
«Il femminismo bisogna studiarlo, non ci si improvvisa. C’è una storia, un percorso, ci sono delle battaglie vinte che se tu non sai che sono già state vinte rischi di ripeterti e di renderlo un marchio. Il femminismo non è un marchio».

E dà fastidio.
«Certo, specie vivendo in una società patriarcale. Ne siamo immersi, eh. Pure io ho il mio spettro patriarcale, mi giro e lo zittisco. Ma sono comunque fiduciosa nelle nuove generazioni. Per mio fratello, che ha 16 anni, è diverso».

Ovvero?
«Sono felice che i discorsi con i suoi compagni non siano intrisi di sessismo. Non vedo aggressività. È difficile spiegare il femminismo, così come lo è spiegare il patriarcato. Un uomo che è nato nel privilegio non lo può capire fino in fondo, è una situazione complicata».

Così com’è complicato accettare gli ultimi casi di cronaca, che purtroppo vedono coinvolti anche ragazzi molto giovani.
«Il problema non è il singolo sintomo: bisogna curare la malattia. E bisogna partire da lontano, quindi dall’educazione in famiglia, dall’educazione a scuola, da una maggiore attenzione ai grandi media. Noi abbiamo un grande potere attraverso tv, radio e cinema. L’arte non si può censurare, ma quando questi ragazzi smetteranno di vivere in un mondo dove cantare in un brano di “troie” e “puttane” è una cosa figa, vedrai che non le canteranno più».

C’è anche chi ha chiesto di censurare le parole di alcune canzoni.
«Non sono d’accordo, perché così facendo si punta il dito contro quei ragazzi. Loro sono il risultato di quello che sta alla base. A me non piacciono queste canzoni, ci sono dei testi che mi fanno arrabbiare molto. Ma non è sempre colpa di chi sbaglia: è anche colpa di chi non spiega loro che dire certe cose non va bene».

Quanto credi che la tua vita da bimba a San Patrignano ti abbia aiutata a costruire questa mentalità?
«Tanto, tantissimo. Io facevo parte di un gruppo. Eravamo 30-40 bambini che stavano tutti insieme. Non c’erano distinzioni fra maschi e femmine, sono cresciuta così. Ema è la mia migliore amica, ma non l’ho scelta perché ci facciamo lo smalto insieme. Ho anche un migliore amico e un fidanzato, però il fatto di vivere la comunità in quel modo mi ha dato molto e mi ha anche insegnato a non essere gelosa».

Andrea Delogu al Manzoni
Andrea Delogu al Manzoni

Sdrammatizzando, quando vai a Sanremo?
«Quest’anno sarò lì dalle 14.00 alle 16.00 su Rai Radio Due con La versione delle Due. Bisogna essere pronti per Sanremo. È uno spettacolo meraviglioso, ma la gente che lo guarda deve sapere chi sei, deve conoscerti bene. Per il resto non ho fretta. Succederà oppure no, è il bello della vita. Non sai mai quello che accadrà».

E a Milano, invece, che cosa ti lega?
«La mia famiglia è di Milano, poi sono cresciuta in Romagna, ma all’inizio della mia carriera sono venuta a vivere qui dai nonni e da mia sorella. Milano è sempre stata mia moglie, Roma la mia amante. Milano è proprio casa. Una casa in cui poi non ho messo radici perché ho avuto altre occasioni e altre opportunità, ma è una casa che è sempre possibile. Milano ti corteggia con tutto quello che può, specialmente in primavera».

Che sensazione hai, oggi, di una città che non sta propriamente attraversando il suo momento migliore?
«Ecco, questa cosa mi fa strano. Io sono a Roma da nove anni e mi sono sempre sentita sicura. Ora su Milano leggo delle cose che mi spaventano, ma quando ci ho abitato non ho mai avuto la percezione di essere in pericolo. Non vivendo più la città, posso solo dire che le cose che leggo su Milano non le riconosco».

Un luogo che ti sta a cuore?
«Da bambina, ogni volta che dalla Romagna venivo a Milano mio nonno mi faceva fare una gita al Duomo. Poi sono molto affezionata a piazza Napoli, dove andavo al cinema. E poi, beh, a San Siro ho assistito ai miei concerti del cuore».

Il migliore in assoluto?
«Bruce Springsteen. Ma vorrei aggiungere un’altra cosa su Milano».

Prego.
«I miei nonni vennero qui dal sud, con la classica valigia di cartone. Avrei voluto avere la possibilità di mettere radici qui, ma non è successo. Eppure è un pezzo di vita che vorrò fare. I miei nonni sono venuti a mancare e mia mamma si è trasferita. I nonni erano persone talmente incredibili che questa città non l’hanno mai lasciata pur avendone la possibilità e io, ad esempio, non mi sono mai sentita di vendere la loro casa».

Quindi questa casa aspetta te.
«Se mi vorrà…».

“40 e sto”, le date dello spettacolo di Andrea Delogu

5 DICEMBRE
TEATRO GIUSEPPETTI
TIVOLI (Rm)

6 DICEMBRE
TEATRO MANZONI
CASSINO (Fr)

9 DICEMBRE
TEATRO PUCCINI
FIRENZE

10 DICEMBRE
TEATRO CICCONI
SANT’ELPIDIO A MARE (Fm)

11 DICEMBRE
TEATRO MANZONI
MILANO

12 DICEMBRE
TEATRO GIOIELLO
TORINO

15 DICEMBRE
TEATRO VERDI
MARTINA FRANCE (Ta)

16 DICEMBRE
TEATRO COMUNALE
NARDO’ (Le)

18 DICEMBRE
TEATRO AMBRA JOVINELLI
ROMA

30 GENNAIO 2024
TEATRO MANZONI
MILANO

19 FEBBRAIO 2024
TEATRO AMBRA JOVINELLI
ROMA

Chi è Andrea Delogu

È conduttrice televisiva e radiofonica, attrice e scrittrice. Nei primi anni di vita cresce all’interno della comunità di San Patrignano, dove si erano conosciuti i suoi genitori. Questa parte della sua vita è racchiusa nel romanzo da lei scritto nel 2014 La collina. Fra le ultime trasmissioni che ha condotto citiamo lo show Tonica, Tim Summer Hits, entrambi su Rai 2. A febbraio 2023 ha condotto la striscia quotidiana sul Festival di Sanremo Prima Festival. Con lo spettacolo 40 e sto è in scena a teatro tra il 2022 e il 2023 per un totale di oltre 50 date in tutta Italia con la regia di Enrico Zaccheo. Su Radio2 conduce, insieme a Silvia Boschero, La versione delle Due, in onda dal lunedì al venerdì dalle 14.00 alle 16.00.

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