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18. 04. 2024 10:32

Milano e il bullismo: dalle scuole al caso Bazzi, un fenomeno ancora senza soluzione

E pensare che il ministro Valditara vorrebbe punire l’umiliazione con altra umiliazione...

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Jonathan Bazzi aggredito a Rozzano è solo l’ultimo degli episodi, ormai è chiaro che Milano e il bullismo sono una cosa sola, è tornato in modo prepotente, dilagante. Con ferocia, cattiveria, anche quando il motivo, apparentemente, non c’è. Anche quando il «diverso», con tutte le accezioni di questo termine, magari è un tuo simile. E c’è da chiedersi quale possa essere un rimedio rapido, istantaneo e sicuro.

Tutto vero, Milano e il bullismo sono una cosa sola

Tutto vero, dunque. Milano e il bullismo sono una cosa sola e chissà quante altre aggressioni dovrà subire, ad esempio, Jonathan Bazzi, lo scrittore di 37 anni aggredito da un gruppo di ragazzini in monopattino mentre passeggiava. Il quale ha riassunto emblematicamente quello che è il pensiero di tutti: «Io ho avuto paura». Già, la paura. Un sentimento forte, spesso incontrollabile, che sfocia nel panico, a volte nella depressione e nella tragedia. Perché la paura, inutile dirlo, è come un virus: distrugge le nostre difese immunitarie, ci fa sentire fragili. E non ci permette di ragionare in modo chiaro, conciso.

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E pensare che il ministro vorrebbe punire l’umiliazione con altra umiliazione…

Il bullismo, oltretutto, ci umilia. Come persone, come entità, come parte della società civile. E per questo non penso che abbia molto senso quanto proposto, recentemente, da Giuseppe Valditara, Ministro dell’Istruzione del Governo presieduto da Giorgia Meloni, il quale aveva sostanzialmente esaltato «l’umiliazione» per punire i bulli con lavori socialmente utili. «Ho usato al momento un termine sicuramente inadeguato – ha poi precisato – confermo il messaggio: imparare l’umiltà di chiedere scusa». Le sue frasi erano state chiare: «Quel ragazzo deve fare i lavori socialmente utili, perché soltanto lavorando per la collettività, per la comunità scolastica, umiliandosi anche, evviva l’umiliazione che è un fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità. Di fronte ai suoi compagni è lui, lì, che si prende la responsabilità dei propri atti e fa lavori per la collettività. Da lì nasce il riscatto. Da lì nasce la maturazione. Da lì nasce la responsabilizzazione».

L’ironia per sopravvivere al bullismo

Forse, più che l’umiliazione, consigliamo al ministro di interagire con tutte quelle persone che effettivamente ce l’hanno fatta. Penso a Michele Rech, in arte Zerocalcare, il quale ha candidamente ammesso: «In città o uno è ironico su se stesso, oppure diventa oggetto di prepotenza e bullismo. L’umorismo è, in realtà, un modo di mettere le mani, è un modo di schermarsi. O imparavo a ridere di me stesso, oppure passavo tutta la giornata a piangere». Ma anche a Malika Ayane («A scuola mi chiamavano marocchina, erano perfidi), Tiziano Ferro («I bulli sono tutti vigliacchi. L’indifferenza è il modo per combatterli»), Michele Bravi («Io bullizzato perché gay, mi gettavano nella spazzatura») e molti altri. Ecco, forse la ricetta di tutto sta proprio qui: saper ascoltare le storie degli altri. Che poi, in fin dei conti, sono proprio come noi. E come voi, cari bulli: vi piacerebbe essere gettati nella spazzatura o essere aggrediti? 

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