20.9 C
Milano
08. 05. 2024 19:03

We Are Social, il MeToo milanese con ancora troppe zone d’ombra. Ma sia chiaro: non è mai troppo tardi per denunciare

Il caso è scoppiato, il vaso di Pandora è stato aperto ed è giusto che Milano faccia da capofila

Più letti

Frasi sessiste, commenti volgari e battute da spogliatoio: Milano in questi giorni è stata travolta dal caso We Are Social. Caso di cui si parlerà ancora per molto tempo. Ed è giusto così. Nel giro di pochissimo tempo ha preso (giustamente) piede quello che viene chiamato il nuovo movimento “MeToo milanese”. La domanda che a questo punto ci poniamo tutti è una sola: com’è possibile che in una grande città come la nostra possa oggi accadere qualcosa del genere?

We Are Social e le molestie nelle agenzie di comunicazione

Milano all’avanguardia. Milano città moderna. Milano inclusiva. Milano che guarda al futuro. Milano dalle pari opportunità. Milano che però, al tempo stesso, accoglie ancora episodi di dichiarato, palese e orribile sessismo. Milano che permette che, nel ventunesimo secolo, stimati uomini che vantano una meravigliosa carriera e hanno una famiglia alle spalle, pronuncino commenti assolutamente inopportuni sulle colleghe donne o sulle giovani ragazze alle prime armi.

Dalle più volgari battute fino alle chat create appositamente per scambiarsi opinioni e maliziosi pensieri sul corpo delle donne. Voti e giudizi sull’aspetto fisico. Parole offensive. Prese in giro. Barzellette non gradite. Insomma, chi più ne ha più ne metta. Ma è normale tutto questo? Indubbiamente no. Per tale motivo dobbiamo parlarne.

Le tre parole di oggi? Scoprile in newsletter!

Prima facciamo però un passo indietro. Era il 9 giugno scorso quando sul profilo di Monica Rossi (pseudonimo di un creator del settore che, per il momento, non vuole rivelare la propria identità) è apparsa un’intervista fatta al noto pubblicitario Massimo Guastini. Un’intervista che lascia tutti a bocca aperta e solleva un gran polverone.

Ad un certo punto infatti Guastini lancia il sasso e non tira affatto indietro la mano. Parla del mondo della comunicazione e della pubblicità e fa accuse molto pesanti nei confronti di un famosissimo collega, Pasquale Diaferia. La denuncia che viene mossa nei suoi confronti è molto chiara: Diaferia sarebbe «un molestatore e abusatore seriale di giovani e meno giovani colleghe pubblicitarie o tirocinanti».

Una critica davvero pesante quella che Guastini fa. Dall’altro lato però Diaferia non risulta mai essere stato indagato né denunciato per molestie. Lui poi risponde con un post in cui accusa il collega di averlo solamente diffamato. Lo chiama «iettatore». Ma non è finita qui.

Il caso We Are Social: scoperchiato il vaso di Pandora

L’intervista di Monica Rossi apre il vaso di Pandora. Massimo Guastini parla anche di una chat creata dai membri di una nota agenzia di pubblicità. Poi verrà, qualche giorno dopo, a galla il nome di questa agenzia: We Are Social. Una chat in cui ci sono almeno 80 uomini di WAS – dagli stagisti fino ai capi reparti, esclusi i grandi capi – che commentano, con parole a dir poco spregevoli, i corpi delle loro colleghe.

Messaggi espliciti, umilianti e denigranti che vengono casualmente scoperti durante una cena. Messaggi che tutti gli uomini dell’agenzia milanese (o quasi) leggevano e scrivevano a loro volta. Con tanto di grasse risate. A confermare il tutto saranno poi un paio di ex lavoratori stessi di WAS.

We Are Social
We Are Social

La replica di We Are Social non basta

Mentre da una parte continuano a venire fuori terribili testimonianze su questa vicenda, dall’altra i vertici dell’azienda esprimono «estremo dispiacere» e dichiarano di non aver mai voluto insabbiare questa storia. La stessa Monica Rossi conferma questo punto poiché racconta che i datori di lavoro hanno messo a disposizione psicologi ed esperti per le persone offese in questa chat. Per le donne offese.

È vero, i fatti risalgono a un periodo compreso tra il 2016 e il 2017, come fa notare la stessa We Are Social. Ma poco importa quando sono avvenuti. Il punto focale di tutta quanta la questione è un altro. Com’è possibile che un luogo di lavoro così importante a Milano che dice di «condannare da sempre qualsiasi forma di discriminazione e di atteggiamenti inappropriati» ora sia al centro della cronaca per discriminazione e atteggiamenti inappropriati?

Inoltre, se queste cose si verificano a Milano, in una società così importante (We Are Social), cosa succede nelle città e nelle realtà più piccole? È giusto che il capoluogo lombardo – che da sempre si vanta di essere in prima linea per la difesa e il supporto delle donne – faccia da traino per quello che ora viene chiamato il nuovo movimento “MeToo meneghino” . Sì, anche se è passato qualche anno.

Perché addirittura c’è chi critica la scelta di queste donne di parlare adesso, una volta scoperchiato il vaso di Pandora. «Perchè raccontare ora queste cose e non quando sono successe?»: questa è una delle domande più gettonate che gira sul web e sui social in merito al caso delle molestie nelle agenzie di comunicazione (e non solo We Are Social).

Peccato che però, la vera cosa giusta da fare in questo momento, non sia accusare in qualche modo queste lavoratrici. Bisognerebbe, al contrario, sostenerle. Bisognerebbe capire che le molestie sono molestie e chi le subisce decide quando parlare e cosa dire. Senza pressioni nè condizionamenti. E da dove partire se non da Milano?

In breve

FantaMunicipio #29: qui ci vuole un sopralluogo spazio ai tecnici del Comune

Nella struttura gerarchica del Comune, che nonostante le promesse e le ambizioni, difficilmente si riesce a scardinare (per esempio...