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26. 04. 2024 15:30

Milano celebra Zerocalcare con una mostra-evento. Rech si racconta: «Dopo il botto, restiamo fragili»

L'evento alla Fabbrica del Vapore dallo scenario apocalittico, che ospita la produzione fiume del fumettista. E che parla di noi

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Senza pretendere di insegnare nulla, Zerocalcare ci fa vedere, pensare (e sorridere) parecchio. Lo fa con il fumetto, la sua madrelingua, declinata anche dal cartone animato, e con una cifra tra l’underground e il pop, immediata, divertente, semplice. Profonda e tinta di humor. Dietro lo sguardo dei suoi personaggi ci sono guerre, inquinamento e riscaldamento globale. Violenze e discriminazioni. Lotte e soprusi. Un affresco completo dell’umanità che oggi probabilmente meriterebbe uno zero in condotta: svalvolata, in tilt, sull’orlo del precipizio, sicuramente imperfetta.

Zerocalcare, la mostra a La Fabbrica del Vapore

Una condizione che ci accomuna tutti, senza distanza, senza un altrove. E Michele Rech (aka Zerocalcare) – nato nel 1983 ad Arezzo, ma adottato da anni dalla capitale, nel quartiere di Rebibbia dove ha ideato tutte le storie dei suoi libri – anche se non lo pretende, insegna. Insegna che noi siamo le nostre piccole e grandi scelte, che l’errore è di tutti e che a tutti spetta il compito irrinunciabile di fare del proprio meglio per essere umani. Alla sua poetica e a una produzione traboccante tra graphic novel e serie animate con cui Rech ha macinato successi, vendite e riconoscimenti è dedicata la mostra Zerocalcare. Dopo il botto, ideata da Silvia Barbagallo e curata da Giulia Ferracci alla Fabbrica del Vapore (fino al prossimo 23 aprile).

Presenti all’appello oltre 500 tavole originali, video, illustrazioni, bozzetti, immersi in uno scenario da città immaginifica e post-apocalittica, con una strada centrale visibilmente colpita da un cataclisma e costellata di edifici disegnati dall’autore. In mostra c’è molto e un po’ di tutto: dalle tavole realizzate durante i mesi del lockdown a quelle precedenti e successive, dalle cover più celebri ai Santi Protettori: ritratti su tela e foglie d’oro provenienti dall’immaginario mitico dell’autore (sì anche Lady Cocca e il Secco, storico amico di Rech, ci sono, naturalmente). I temi al centro? I più cari a Zerocalcare: le forme di resistenza incarnate dal popolo curdo, i lavoratori che protestano per condizioni di vita più dignitose, il ruolo delle donne e molte altre battaglie condotte da gente comune come espressione di quotidiana resistenza.

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Fabbrica del Vapore
Via Giulio Cesare Procaccini, 4
Fino al 23 aprile
Ingresso: 14 euro
fabbricadelvapore.org

Zerocalcare, l’intervista

Dopo il botto, il titolo della nuova mostra di Zerocalcare, la prima a Milano, sottintende l’esplosione post-Covid, ma anche una condizione esistenziale suggerita dai tratti e dal ritmo delle tue tavole, dove sembra che da un momento all’altro stia per esplodere qualcosa. È lo stato d’animo di Michele Rech?
«Mi sento sempre sull’orlo del botto, nel senso che mi sembra sempre di essere sul confine dell’inciampare, del cascare. A Roma il botto è anche l’urto. Poi in realtà questo botto ha un sacco di significati diversi, ma io mi sento sempre un po’ così, sull’orlo del baratro. Mi sembra che da una parte sto crollando io e dall’altra che tutto questo equilibrio che ho messo in piedi negli ultimi anni con il mio lavoro – un equilibrio comunque strano tra roba molto pop e roba invece anche estremamente politica e divisiva – si tenga con lo sputo. C’è sempre il terrore che crolli tutto».

Perché questo senso di precarietà?
«Perché oggettivamente è un percorso pieno di contraddizioni e, per tenere insieme tale equilibrio, di fatto uso tutta la mia energia. Comunque lavoro un botto. Però molto più che nel lavoro vero e proprio, io spendo la mia energia nel cercare di tenere in equilibrio queste due anime in modo che l’una non si mangi l’altra e l’una non si senta rinnegata».

Quindi parliamo di resistenza?
«Parlare di resistenza nel mio caso mi sembra un po’ da mitomane. È un parolone… Non lo scomoderei per descrivere questa cosa. Però sì, a Roma si dice “reggere botta”, ossia sopravvivere, reggere l’urto».

Tra gli altri significati del botto, il rimando è al 2020?
«Ho l’impressione che il botto ci sia stato. Il botto di un meteorite che per me è stato quello della pandemia. Non nella sua dimensione sanitaria, ma sociale».

Che impatto ha avuto secondo te sui rapporti tra gli individui?
«L’isolamento ha portato le persone a radicalizzarsi in qualche modo, a polarizzarsi. Ciò ha prodotto spaccature e lasciato cicatrici. Da questo mi sembra che non torneremo indietro perché, anche se la vita è tornata alla normalità, ormai quel modo di approcciarsi gli uni agli altri in una maniera che considero dogmatica è qualcosa che ci stiamo portando dentro in tutte le discussioni, anche dopo la pandemia».

Che tipo di scenario ha generato il post covid, secondo te?
«Di grande isolamento, di grande rancore e di grandi conflitti orizzontali. Vale a dire non verticali come erano i conflitti nel ‘900 tra sfruttati e sfruttatori, cioè dall’alto al basso. Oggi mi sembra che questi conflitti siano ormai completamente casuali, diagonali, orizzontali, tra gli ultimi e i penultimi, il vaccinato e il non vaccinato…».

C’è qualcosa di positivo sullo sfondo? Ci sono fuochi di resistenza in questa deriva?
«Ci sono dei piccoli fuochi. Mi sembra siano le vertenze, le lotte collettive in cui si cerca non solo di resistere, ma anche di parlarsi, di trovare delle altre vertenze con cui riconoscersi e mettersi insieme. Io sono cresciuto con l’idea che la svolta individuale sia qualcosa che aiuti il singolo e non è nemmeno detto che duri. Le svolte sono sempre quelle collettive. Quindi quell’indirizzo, per me, per la mia formazione, è quello a cui ognuno si dovrebbe aggrappare. Qualcuno di questi fuochi è rappresentato nella mostra, che espone un sacco di lavori».

Qualche esempio?
«Il mondo del lavoro. Tutto quello che hanno fatto il mondo della logistica a Piacenza, i raider a Bologna oppure gli operai della GKN a Campi Bisenzio. Non solo hanno difeso i loro diritti di lavoratori, ma hanno anche provato a immaginarsi una vertenza che riguardasse in generale la società e il Paese che sta intorno a loro. Poi in mostra c’è tutta una sezione sui curdi che hanno resistito all’Isis prima e alla Turchia adesso e che provano a fare un lavoro di costruzione di una società nuova».

Che rapporto hai con Milano?
«Con Milano ho due rapporti. Uno riguarda il lavoro. La mia casa editrice è di Milano, quindi sono abituato a venirci per tutte le prime presentazioni dei libri e per gli incontri. E poi ci sono i centri sociali. Da quando sono ragazzino sono sempre venuto a Milano per concerti, iniziative, quindi ci conosciamo da tanti anni. Abbiamo fatto mille cose insieme. Sono una parte della mia famiglia».

Che energia ha Milano, secondo te?
«Non vorrei mai vivere fuori dal mio quartiere, ma probabilmente, se proprio dovessi vivere in un’altra città, se dovessero dirmi che giustiziano la mia famiglia se non lascio Roma, probabilmente verrei a Milano, perché qui mi sembra comunque di stare abbastanza in mezzo alle cose».

Ultima domanda, che poi è una richiesta: mi faresti per favore una dedica su questo foglio?
«Sì, a chi la rivolgo?».

Alla giornalista che ti ha appena intervistato. Faccio harakiri se rispolvero il tema del rapporto con la stampa?
«…».

Grazie, è perfetta.

 Zerocalcare, la vignetta per Mi-Tomorrow

zerocalcare

Prima dell’intervista, mentre aspetto che Michele Rech finisca di autografare libri e cartoline con vignetta personalizzata a un esercito di persone, mi godo la mostra. C’è da perdersi tra le tavole, ma due in particolare mi attraggono come calamite per via della targa che le accompagna recita: «Ogni volta che leggete un virgolettato vi prego ricordatevi sto fumetto, inchiostro su carta, 30/11/2021».

L’ironia della striscia gioca sul fraintendimento delle dichiarazioni rilasciate alla stampa e l’effetto fatale sul senso. Quando arriva il momento dell’intervista non ci penso più, ma il monito sulla didascalia mi torna in mente appena allungo a Zerocalcare l’unico foglio della cartella stampa che non è stampato fronte retro, per farmi fare una dedica. Pensavo a una firma, ma lui inizia a muovere il pennarello sulla carta, si ferma e mi chiede il tema da trattare nel disegno. Non resisto: cito le due tavole di cui sopra e lo interrogo sul fatto se non fossero le domande a non piacergli. Velocissimo, ha risposto.

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