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29. 04. 2024 01:53

Art Nomade Milan, a colloquio con Elisabetta Roncati: «L’arte riduce le differenze e allevia le sofferenze»

Una boccata d’aria fresca nel sistema arte: «E’ stato come entrare in un luogo sacro da atea»

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Cambiare il sistema dall’interno. Con il sorriso. Elisabetta Roncati, classe 1988, appassionata di arte extra europea prevalentemente contemporanea, e di diritti della comunità LGBTQIA+ ha creato nel 2018 il marchio registrato Art Nomade Milan News, diffuso sulle principali piattaforme social, e dal quale è nato un magazine online.

Si definisce art sharer e su Instagram condivide, con suoi 100mila follower, consigli e video su mostre e musei. Passione, studio e una buona dose di caparbietà l’hanno poi portata a diventare consulente di diversi musei e rassegne, e a pubblicare il libro edito da Rizzoli ARTE QUEER corpi, segni, storie.

Art Nomade Milan, intervista a Elisabetta Roncati

Quando hai iniziato a condividere contenuti relativi all’arte?
«Mi sono sempre occupata di arte: ho frequentato un corso in Comunicazione e gestione nei mercati dell’arte e della cultura all’Università Iulm, e poi ho proseguito la mia attività di studio con un perfezionamento in Beni demoetnoantropologici che mi ha portata ad approfondire il tema dei diritti. È nato prima il blog Art Nomade Milan News e poi ho iniziato a dedicarmi ai social, soprattutto in pandemia, quando sono emersi i primi “divulgatori digitali”, che condividevano contenuti dedicati a scienza, cultura e arte, e che si distinguevano dai profili più commerciali dei content creator di moda e make-up».

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Come sei stata accolta?
«Il mondo dell’arte è chiuso, di nicchia, esattamente come quello della moda. Frequentavo i vernissage delle mostre e curatori, giornalisti e direttori mi ignoravano totalmente. Era come entrare in un luogo sacro da atea».

E ora?
«Le cose sono cambiate, ma ci è voluto del tempo. Sono passata dall’essere considerata l’influencer, quella che si faceva le foto alle anteprime fra sguardi di disapprovazione, a un ruolo di consulente per fiere, rassegne e mostre. Per anni ho investito su me stessa senza alcun ritorno economico: ora raccolgo i frutti».

Come si rende il mondo l’arte, elitario e chiuso, accessibile dal punto di vista comunicativo?
«L’arte contemporanea è più difficile da comprendere, perché è concettuale e subentra spesso quel “lo potevo fare anch’io” che crea già una barriera. Artisti figurativi e più conosciuti, come Caravaggio, Michelangelo o Leonardo, risultano più facili da approcciare e, quindi, più comprensibili. Non ho la formula magica per trasformare l’arte contemporanea in qualcosa di semplice e diretto. Dipende molto dall’argomento ma cerco di usare sempre un linguaggio semplice, eliminando parole desuete. Molti utilizzano aneddoti e risvolti gossip o noir ma non è il mio stile».

Elisabetta Roncati
Elisabetta Roncati

Quindi, qual è l’obiettivo di Art Nomade Milan?
«Seminare, scatenare una scintilla che poi porti i miei follower ad approfondire, andando a vedere una mostra, leggendo un libro, o semplicemente, facendo una ricerca in rete».

I luoghi d’arte sono, spesso, appannaggio solo di esperti del settore, oppure di persone già appassionate.
«I musei e le mostre hanno biglietti d’ingresso che i più non hanno intenzione di pagare. Stessa regola per le fiere che hanno anche l’aggravante di essere considerate luoghi dedicati solo all’acquisto. Eppure, vista la grande quantità delle opere esposte, potrebbero essere sfruttate per osservare, commentare, conoscere. Le gallerie sono a ingresso gratuito, ma non sempre risultano accoglienti per i non addetti ai lavori. Del resto, devono vendere a chi già apprezza o è in grado di valutare gli artisti esposti. Eppure, qualcosa sta cambiando».

In che modo?
«Sono stata nominata coordinatrice del public program di The Others Art Fair, una fiera nell’ambito della Contemporary Art Week torinese, che si è distinta per l’attenzione alle sperimentazioni artistiche e che si rivolge a visitatori non esclusivamente di settore. L’organizzazione ha voluto puntare su di me che lavoro nel digitale e conosco i gusti del pubblico, che non deve essere costituito necessariamente da professionisti del settore, collezionisti o advisor. Semplicemente persone curiose».

Quali temi avete toccato?
«Intelligenza artificiale, gli spazi creativi indipendenti e loro gestione, attivismo e cultura: abbiamo invitato i ragazzi di Ultima Generazione ed è scaturito un dibattito vivace e rispettoso, che ha connesso persone che fanno tutt’altro nella vita o che, comunque, non hanno la passione dell’arte. Queste stesse persone hanno poi avuto occasione di visitare anche la fiera e chissà… Magari qualcuno si è appassionato».

Il tuo libro parla di “arte queer”, una sfaccettatura particolare.
«Ho frequentato la comunità e toccato la sofferenza, la mancanza di possibilità, la ghettizzazione. Ho trovato parecchi punti in comune con la mia storia personale: nella mia esperienza sono stata più volte tacciata di essere “troppo sopra le righe” o addirittura, in maniera ancora meno elegante, di non “essere normale”. L’arte, del resto, è libera d’espressione e può essere cura per ridurre le differenze e alleviare le sofferenze».

ARTE QUEER corpi, segni, storie, il libro di Art Nomade Milan

Il testo (Rizzoli, 240 pagine, 25 euro) raccoglie voci e opere di artisti di epoche, tecniche e stili diversi, che hanno sfidato e sfidano le convenzioni, indagando il tema delle identità umane: Claude Cahun, Keith Haring, Lisetta Carmi, Eva e Adele o Gilbert e George, fino a Cassils e Amanda Ba. Si raccontano le ricerche artistiche dal Togo all’Afghanistan, dalla Russia al Libano fino alla Corea, riflettendo su religione, identità delle minoranze, sentimenti e intimità, dagli anni dell’esplosione dell’AIDS ai tempi dell’iperconnessione.

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