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25. 04. 2024 17:34

Diritti alla meta, a Milano arriva il registro per i transgender: «Passo avanti nazionale»

Così il registro delle persone transgender cambia la storia nel nostro Paese. Una storia che parte da Milano e che non può, non deve più fermarsi

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Ormai è un dato di fatto: per la prima volta in Italia un consiglio comunale ha deciso di istituire un registro per il riconoscimento del genere di elezione, dedicato alle persone transgender. La mozione, voluta dalla consigliera del Pd Monica Romano, prima persona transgender a Palazzo Marino, ha ottenuto 27 voti favorevoli e 2 contrari. Il registro sarà realizzato nei prossimi sei mesi. Consentirà ai dipendenti comunali e a quelli delle partecipate di avere il badge con il nome di elezione prima del cambio all’anagrafe e sulla carta d’identità.

I cittadini transgender potranno inoltre avere l’identità alias su tutti i documenti di pertinenza comunale, come le tessere delle biblioteche, gli abbonamenti e i mezzi di trasporto pubblico, quelli per le piscine. Per ottenere i documenti con il nome scelto, sarà sufficiente fare una dichiarazione davanti a un ufficiale di stato civile. La mozione approvata prevede inoltre misure per promuovere e rendere effettivo il diritto di voto delle persone trans che a causa dei seggi divisi tra maschile e femminile, spesso rinunciano ad andare alle urne per evitare disagi o imbarazzi.

Registro per i transgender, la promotrice Monica Romano: «In città almeno settemila come me»

Monica Romano, 43 anni, scrittrice, dallo scorso ottobre consigliere comunale, storica attivista per i diritti dei transgender che, assicura, non sono del tutto riconosciuti neppure a Milano.

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Chi è un transgender?
«E’ una persona che non si riconosce nel genere di nascita. Quindi sperimenta un malessere, un disagio, un bisogno di intraprendere un percorso di affermazione per potere vivere il genere che sente».

A che età è possibile capirlo?
«Non c’è una precisa, può essere nei primi anni di vita ma può capitare anche più in là con gli anni».

Può capitare anche in tarda età?
«Può succedere, magari c’è stato un sentore fin dall’infanzia che per paura è stato represso».

Anche oggi c’è chi si comporta in questo modo?
«La società è cambiata, le persone si sentono più libere».

Chiariamo una cosa: il conflitto con il sesso di nascita è sempre esistito?
«Certo, è sempre esistito in ogni cultura: voglio precisare che non è la moda del momento».

Come bisogna comportarsi quando ci si accorge che esiste questo conflitto?
«Ho fondato un’associazione che offre aiuto, assistenza: l’importante è non imporre nulla, lasciare libertà. Ci sono diverse associazioni per genitori di bambini gender variant che fanno un lavoro importante, ci sono psicologi che possono supportare quei genitori che a volte sono disorientati».

Il supporto è dato in particolare ai bambini che magari sono in crisi.
«Il vero problema è la società. Parlo per esperienza: non ho mai avuto problemi con me stessa, i problemi sono arrivati da fuori, arrivano quando ci si approccia con il mondo del lavoro, con certi ambienti dove regnano pregiudizi».

Come giudica le famiglie che ignorano la situazione del figlio?
«Ignorare non mi sembra una cosa buona. Le famiglie di oggi comunque sono diverse anche da quelle di 25 anni fa, c’è più attenzione».

E’ difficile trovare lavoro per un transgender?
«Sì, spesso dopo un colloquio di lavoro non si viene chiamati, c’è un precariato che si manifesta anche nella nostra città».

L’operazione per cambiare sesso è un approdo inevitabile per un transgender?
«No, ci sono alcuni che non la fanno perché si sentono bene con se stessi: non esiste una strada unica, l’importante è trovare un proprio equilibrio, stare bene».

Quanti sono i transgender a Milano?
«Secondo l’Istituto Superiore di Sanità in Italia siamo tra lo 0,6 e 1,2 milioni, a Milano siamo tra i 7mila e 14mila».

A quali ambienti sociali appartengono?
«A tutte le classi sociali, da quelle più umili a quelle più abbienti».

Dopo il registro quali sono le prossime battaglie?
«Una importante è garantire il riconoscimento del diritto di voto reale: molte persone transgender non vanno a votare perché si vergognano, per cambiare questa situazione non basta rendere più agevole il cambio del nome, bisogna promuovere un processo culturale, di educazione».

E dal punto di vista sociale?
«Bisogna favorire la ricerca del lavoro, altrimenti si finisce sulla strada non certo per libera scelta. Penso che a Milano sia possibile avviare percorsi di inserimento lavorativi, anche per aiutare le persone ad uscire dalla strada, a superare lo stato di emarginazione sociale che in questa città esiste».

È diventata consigliera comunale: cosa cambia per lei?
«Sono onorata di essere la prima consigliera transgender ma mi chiedo: com’è possibile che io sia la prima? Questo significa che c’è ancora molto da lavorare, vedo comunque che la voglia c’è, tanti mi chiamano, tanti sono contenti del mio risultato».

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Registro per i transgender, parla Antonia Monopoli (responsabile dello Sportello trans di Ala Onlus): «Passo avanti nazionale»

di Katia Del Savio

Antonia Monopoli è la responsabile dello sportello trans di Ala Onlus, incarico che ricopre da anni portando in dote la sua esperienza personale.

Che significato ha l’istituzione di un “registro per il riconoscimento del genere di elezione” delle persone trans?
«Ho assistito direttamente alla discussione della mozione in consiglio comunale: per noi rappresenta una forma di riconoscimento della popolazione trans. Spero che nell’arco di sei mesi si concretizzerà con il cambiamento dei nomi delle tessere ATM, delle biblioteche e di altri documenti legati al Comune. È un passo avanti per Milano, ma anche a livello nazionale: in questi giorni diversi consiglieri di altri comuni stanno chiedendo a Monica Romano il testo della mozione per riproporlo alle loro amministrazioni».

Negli anni MIlano è sempre stata pioniera nella lotta per i diritti delle persone LGBT+.
«Decisamente. Tra l’altro lo scorso 11 maggio è partito l’iter di discussione della legge regionale Nanni, scritta 10 anni fa, sull’omotransfobia. In quell’occasione, attraverso 29 associazioni, abbiamo presentato le 10mila firme raccolte su allout.org. La proposta di legge punta a facilitare i percorsi di transizione all’interno delle strutture sanitarie lombarde, ad azioni per favorire l’inserimento lavorativo e alla formazione nella pubblica amministrazione. Se dovesse passare la quotidianità delle persone LGBT+, migliorerebbe in modo concreto».

A giugno ci sarà la Pride Week. Cosa sta preparando?
«Insieme al Municipio 7 ho appena organizzato una serie di eventi per l’anniversario dei 50 anni del movimento LGBT+. Il 2 luglio parteciperò alla parata del Pride coinvolgendo gli utenti dello sportello trans».

Quali sono le prossime battaglie?
«Bisognerebbe cambiare le norme che regolano le votazioni: i seggi elettorali sono divisi in uomini e donne e molte persone trans rinunciano al voto perché il documento d’identità non risulta conforme al loro aspetto. Inoltre di recente ho chiesto alla presidente della commissione pari opportunità Diana De Marchi di avere un occhio di riguardo per le persone trans anziane. Al mio sportello arrivano richieste di 50-60enni che non riescono a permettersi di pagare l’affitto. Una volta si pensava che i trans non avessero una lunga aspettativa di vita, mentre ora le cose sono cambiate».

Registro dei transgender: l’intervento di di Francesco “Mehths” Cicconetti

Così miglioriamo la vita delle persone: è qualcosa di futuristico

Quanto è stato fatto a Milano da Monica Romano è futuristico perché si parla di autodeterminazione, una qualcosa di sconosciuto in Italia ma non in altri Paesi europei. Che, non a caso, sono più avanti di noi: anche se non sono arrivati a una legge, ne discutono, hanno un dibattito. Qui, invece, assistiamo a queste reazioni: che succede? Si va allo sbaraglio? Non è così, siamo di fronte a un’iniziativa che andrà a beneficio di chi ha davvero bisogno: il Comune di Milano ha stabilito che i documenti comunali sono modificabili con un’autodichiarazione. Sì, è futuristico.

E ci auguriamo che si possa fare lo stesso, un giorno, con i documenti d’identità. Oggi, invece, bisogna passare per un iter costrittivo, ci vogliono permessi di dottori che giudicano se sei “sufficientemente trans” per avere i documenti e poterti operare: è assurdo, stiamo parliamo dei nostri corpi, della nostra identità. Eppure dobbiamo andare dallo psicologo per un certo periodo di tempo, dobbiamo raccontare le nostre storie, ci sono standard per essere considerati transgender e devi stare attento a quello che dici.

Dopo lo psicologo devi andare dall’endocrinologo, quindi vai in tribunale e chiedi al giudice un permesso per documento: è un percorso lungo, la persona trans vive un forte disagio perché non ha documenti che rispecchiano la sua identità e la sua faccia. Il Green Pass ha dimostrato quanto sia grande questo problema, ci sono stati trans che non potevano uscire di casa, dovevano sempre mostrare l’anagrafica.

Ciò che è stato fatto in Comune dev’essere un apripista e mi auguro che tanti altri seguano l’esempio. Ne abbiamo bisogno tutti nelle scuole, nelle università. I documenti non devono essere vincolati al documento d’identità, non è possibile che non si possa cambiare il libretto dell’università. Insomma, sono felicissimo: sono fiero di Monica Romano e di questa grande novità che cambierà in parte la vita di tante persone.

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