Alla scoperta de “La Fontana”: «La normalità è il nostro manifesto»

La Fontana
La Fontana

La storia di Milano passa, come in un wormhole temporale, attraverso i suoi locali storici. La pizzeria “La Fontana”, ubicata da sempre nel cuore del quartiere Isola, nasce tre anni dopo la strage di piazza Fontana e nel periodo caldo di Brigate rosse e Nar, i nuclei armati rivoluzionari dell’estrema destra. Era una Milano violenta, e le bande capitanate da Vallanzasca e Turatello, prima che venissero a patti, si sparavano addosso dovunque, anche in piazza Duomo. Nei primi anni ’70, inoltre, in piena crisi economica, era esploso anche il fenomeno dei sequestri di persona a scopo di estorsione.

Era la Milano raccontata da Sergio Martino in Milano trema la polizia vuole giustizia ed era la città laboriosa e operaia amministrata dal socialista Aldo Aniasi. In un turbine di eventi la città sentiva la necessità di rialzarsi, e nel cuore del quartiere Isola, nasceva una delle pizzerie, che a oggi è tra le più longeve della città. A distanza di quarantasei anni i proprietari Giorgio Cheodarci, figlio del fondatore Fulvio, e lo chef Martino Palazzi hanno sfogliato per noi il loro album di ricordi. Con un occhio al futuro di un quartiere, l’Isola, in continua evoluzione.

Su cosa si basa il vostro lavoro?

«Abbiamo sempre cercato la semplicità, puntiamo da sempre alla qualità mixando una buona varietà di piatti da proporre ai nostri clienti. Basiamo il nostro lavoro sull’esigenza quotidiana dei nostri consumatori».

Quali sono i vostri piatti forti?

«La pizza è la nostra specialità, a cui aggiungiamo la lasagna, il pollo e il nostro tiramisù. Oggi proponiamo diverse specialità che cambiano in base alle stagioni. Non è stato facile inserire la nostra pizza».

Perché?
«Siamo un Paese dove la tradizione vuole la pizza classica. La nostra proviene da una padella e vive di una lavorazione diversa. La friabilità della pizza cambia nel giro di pochi secondi, e noi consigliamo sempre di mangiare il nostro prodotto sul posto. Agli inizi degli anni ’70 vendevamo la pizza – tramite un nostro zio – in un chiosco nei pressi dell’ospedale Niguarda. La riscaldavamo nel tostapane. Era una Milano diversa».

Chi è il cliente tipo della vostra pizzeria?

«La nostra clientela è lo specchio di quello che offriamo: noi proponiamo la normalità. Abbiamo clienti che vengono qui da 40 anni, e gli stessi vengono con i loro figli e i loro nipoti».

Com’è cambiato questo quartiere?

Servivamo la gente sul marciapiede, e nei primi anni ’70 qui accadevano situazioni molto particolari. L’Isola era un quartiere ad alto tasso di criminalità mixato da tanta classe operaia, oggi cavalca le nuove tendenze e si approccia a nuovi investitori. Lottiamo ogni giorno affinchè quel sapore di autenticità di quartiere possa resistere alle mode».

E voi come siete cambiati?
«La nostra attività rimane quella dei primi anni ’70. Oggi la gente osserva poco, un tempo ci si incantava davanti le vetrine. La digitalizzazione ha fatto perdere quella sensazione di scoperta, è un peccato».

Quanta gente è passata da qui?

«Tantissima, c’era il boss della mala milanese, Turatello, e la gente che lo seguiva. Agli inizi degli anni ’90 puntualmente tre volte la settimana arrivava un distinto signore che ordinava sempre un pollo con le patate. Era la guardia del corpo della mamma di Berlusconi, la signora Rosa amava i nostri piatti al punto di consigliare le pietanze alla mamma di Gerry Scotti. Abbiamo servito generazioni intere, compreso Renato Vallanzasca».

Esiste il rischio che all’Isola si possano perdere quei valori autentici ai quali vi sentite legati?
«Oggi Milano è piena di posti in cui consumare cibo, anche da strada. Chi compra prodotti di prima qualità e cucina roba nuova – anche se proveniente da culture – è ben accetto. Non siamo d’accordo piuttosto sulle tante catene di distribuzione che sono arrivate nel quartiere, che propinano cibo di qualità pur non garantendone i principi».

Lo street food può sopraffare i classici locali?

«Consumare il cibo fermandosi, anche poco tempo, è una necessità del corpo. Lo street food è geniale, ma la nostra filosofia è la stessa da sempre: quando la normalità diventerà eccellenza avremo un grande valore».

Quali sono le problematicità del quartiere?

«In più di quarant’anni non abbiamo mai fatto pagare un coperto e troviamo assurdo che il Comune di Milano debba far pagare 2 euro all’ora per un parcheggio. Vorremmo che questa parte del quartiere di Isola potesse diventare il vero salotto di Porta Nuova, e in un certo senso già lo siamo».

Quale futuro per “La Fontana”?

«Ci sforziamo giorno dopo giorno di garantire il buon servizio con passione. Abbiamo figli e ci farebbe piacere che proprio loro possano proseguire questo viaggio iniziato nei primi anni ’70. Qui siamo una famiglia».