Emergency: «Noi, a disposizione del servizio sanitario»

Anche Emergency in campo per aiutare a reggere l’emergenza coronavirus. Pietro Parrino: «Abbiamo deciso di sospendere attività all’estero per stare qui»

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Per affrontare l’emergenza coronavirus c’è bisogno di più medici, provenienti anche da altre realtà, dalle strutture private fino alle Ong come Emergency.

 

Emergency si muove per il coronavirus

L’assessore alla Sanità della Regione Lombardia Giulio Gallera pochi giorni fa ha detto: «Abbiamo bisogno delle migliori energie perché qualsiasi contributo, da specializzandi a medici in pensione, alle Ong, non solo è benvenuto, ma assolutamente necessario».

Emergency ha deciso di mettersi a disposizione, più che con il suo personale medico, con la sua esperienza sulle epidemie nel mondo. Pietro Parrino, direttore del Field Operation Department di Emergency, ha spiegato a Mi-Tomorrow, che già prima dell’appello della Regione l’organizzazione fondata da Gino Strada aveva messo in atto alcune azioni.

Emergency in soccorso alla Regione, intervista a Pietro Parrino

pietro parrino
Pietro Parrino

Quali iniziative state mettendo in campo?
«Nei giorni scorsi avevamo deciso di tenere attivi i nostri ambulatori italiani, che si occupano di senzatetto, stranieri e poveri, che per diverse ragioni non riescono ad accedere al sistema sanitario.

Oltre a proseguire la nostra attività di assistenza medica quotidiana in questo momento sono utili per fornire informazioni e consigli su chi si presenta con sintomi riconducibili al coronavirus. Inoltre, venti giorni fa avremmo dovuto aprire un centro di chirurgia pediatrica in Uganda con personale medico-sanitario che avrebbe dovuto trasferirsi dall’Italia.

Abbiamo deciso di sospendere l’apertura dell’ospedale per permettere al personale di rimanere a disposizione delle autorità sanitarie italiane».

Che risorse avete a disposizione per la Regione Lombardia?
«Dopo la richiesta della Giunta Fontana di dialogare con le Ong abbiamo dato piena disponibilità, anche se vanno chiarite le modalità di aiuto: in questo momento potremmo fornire solo poco personale, ma possiamo senz’altro contribuire con la nostra competenza nella gestione di situazioni di emergenza sanitaria internazionale simili, visto che ci siamo occupati di ebola in Sierra Leone e di colera in Sudan».

Cosa vi hanno risposto?
«Che ci avrebbero fatto sapere dopo averne discusso. Sicuramente all’interno dell’unità di crisi ci saranno persone che hanno già esperienze in questo campo, non vogliamo dare giudizi, ma abbiamo semplicemente risposto a una richiesta di confronto».

Nei vostri ambulatori in Italia avete avuto a che fare con casi di coronavirus?
«Non possiamo saperlo perché non effettuiamo le analisi con il tampone. Ci limitiamo a verificare le condizioni dei pazienti quando arrivano da noi.

Se i sintomi sembrano corrispondere a quelli da coronavirus consigliamo loro di cominciare a gestire la malattia in casa. Se la situazione si dovesse aggravare diciamo loro di chiamare i numeri preposti o siamo noi a far arrivare un’ambulanza. Non sappiamo poi se questi casi risultano positivi al Covid-19».

C’è bisogno di informare persone in difficoltà sulle misure preventive o nel saper riconoscere i sintomi?
«Sì, i messaggi devono essere molto semplici perché la capacità di capire il problema è diversa da persona a persona. I nostri mediatori culturali sono formati proprio per far comprendere a tutti le informazioni più importanti.

Per esempio, c’è chi pensa di poter prendere le medicine che necessita in una giornata tutte insieme in una volta. Ci sono pazienti che, pur essendo in Italia da 15 anni, non conoscono ancora la lingua italiana. Il compito dei nostri operatori è proprio quello di dialogare conoscendo la loro cultura».

A Milano e in altre località italiane Emergency dispone di ambulatori “mobili”. Possono essere utili in questa situazione di emergenza?
«Questa è una delle proposte che abbiamo fatto. Se servono possiamo pensare di organizzarci. Intanto ci preoccupiamo di prendere i nomi delle persone a cui suggeriamo di curarsi da sole o di farsi curare per dare alle autorità le indicazioni necessarie».

Dalla vostra esperienza con altre epidemie c’è qualche altra misura che andrebbe presa per fronteggiare l’emergenza coronavirus?
«I medici che stanno lavorando a Milano e in Lombardia di cui abbiamo conoscenza sono di estremo valore. Con alcuni abbiamo lavorato all’epidemia di ebola. Il problema è che il sistema, rispetto al numero di ospedali e al numero di casi che deve seguire, ha una serie di difficoltà oggettive, che riguardano in particolare l’insufficienza del personale».

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